La Legge opprime la Libertà?

Non saprei riassumere meglio i disastri prodotti dal liberalismo in ogni campo, quali sono esposti nel capitolo precedente, che citandovi questo passaggio di una Lettera pastorale vescovile di cent’anni fa, ma altrettanto attuale un secolo più tardi.

«Oggi il liberalismo è l’errore capitale delle intelligenze e la passione del nostro secolo, crea come un’atmosfera infetta che avviluppa da ogni parte il mondo politico e religioso, e che è un pericolo supremo per la società e per l’individuo.

«Nemico tanto gratuito quanto ingiusto e crudele della Chiesa cattolica, esso affastella, in un disordine insensato, tutti gli elementi di distruzione e di morte, al fine di proscriverla dalla terra.

«Esso falsa le idee, corrompe i giudizi, adultera le coscienze, snerva i caratteri, accende le passioni, assoggetta i governanti, solleva i governati e, non contento di spegnere (se ciò fosse possibile) la face della rivelazione, avanza incosciente e audace per spegnere il lume della stessa ragione naturale» (26).

Enunciazione del principio liberale

Ma è possibile scoprire, in un tale caos di disordini, in un errore così multiforme, il principio fondamentale che spiega tutto? Io vi ho detto, seguendo il reverendo Roussel: «il liberale è un fanatico d’indipendenza». È tutto qui. Ma cerchiamo di precisare.

Concedeteci, Signore, un altro San Pio X

Sono già trascorsi cento anni da quando Papa Sarto ha lasciato la terra per il Paradiso, dopo una vita consacrata al servizio della Chiesa nel trasmettere instancabilmente la buona dottrina, infiammato di zelo per la salvezza delle anime.

Nato in una famiglia numerosa, secondo di dieci figli, Giuseppe crebbe all’insegna della Croce di Gesù, nello spirito di sacrificio che respirò fin dalla sua infanzia da genitori profondamente cattolici.

Basti ricordare la grande prova che subì la famiglia Sarto nel 1852, quando il padre Giovanni Battista morì, lasciando la moglie Margherita e la numerosa prole. Giuseppe, che aveva risposto alla chiamata di Dio entrando in seminario, aveva appena 17 anni. Gli amministratori del piccolo Municipio di Riese gli offrirono l’impiego occupato dal padre per aiutare la famiglia, ma l’eroica madre rifiutò per permettere al figlio di seguire la sua vocazione. Avrebbe pensato lei con il suo lavoro di sarta a garantire il pane quotidiano, lavorando giorno e notte. È in queste famiglie che Dio forgia i suoi santi.

Dotato di una salute di ferro il giovane Giuseppe, una volta sacerdote, si consacrò totalmente all’apostolato, sulla base di una profonda vita interiore. Era dotato di una sorprendente capacità di rapportarsi agli altri, traspirava la bonomia e la compassione per i poveri e questo gli apriva facilmente i cuori.

Durante tutta la sua vita si trovò a lottare contro gli errori del tempo che avevano già penetrato la Chiesa e che stigmatizzerà, una volta Papa, con il nome di modernismo, cloaca di tutte le eresie. Vescovo di Mantova nel 1884, diresse la diocesi con un grande realismo e acutezza di spirito, mostrandosi molto fermo riguardo tutto ciò che toccava la fede, nella giusta convinzione che soltanto su quella roccia che è Gesù Cristo si può fondare la società e l’allontanarsi dalla dottrina rivelata può produrre solo delle conseguenze catastrofiche anche per il vivere civile. Una grande fermezza e forza d’animo quindi ma accompagnata da una bonarietà che conquistava i cuori e in questo tratto di carattere è impossibile non percepire la somiglianza con Mons. Marcel Lefebvre, nella lotta che sostenne anche lui contro gli stessi errori, ormai professati dalle più alte autorità della gerarchia ecclesiastica.

Il Sinodo Kasperiano

Quando si nega il principio primo speculativo di identità e non contraddizione (sì = sì, no = no, sì ≠ no), immancabilmente si perde – prima o poi – anche il principio primo di ordine morale, ossia la sinderesi (“bonum faciendum, malum vitandum”), che riposa su quello di identità (bene = bene, male = male, bene ≠ male), come l’agire riposa sull’essere e il modo di agire sul modo di essere; per cui – alla fine – si perde la nozione di bene e di male, li si confonde e si scambia il male per il bene, la destra per la sinistra, il giorno per la notte e viceversa. “Quos Deus vult perdere prius demendat”.

In questi tristissimi tempi anche nell’ambiente ecclesiale più alto (“Sinodo sui Sacramenti ai divorziati” diretto dal cardinal Walter Kasper & da papa Bergoglio) si è persa la ragione speculativa e pratica e quindi si scambia il sì col no, il bene col male e si pretende di poter dare i Sacramenti anche a coloro che non hanno la volontà ferma di lasciare il peccato. Purtroppo è un fatto e “contro il fatto non vale l’argomento”.

Se Pio XII lamentava che il mondo moderno aveva perso il senso del male e del peccato, oggi il mondo ecclesiale post-conciliare e post-moderno vorrebbe rendere addirittura ‘bene’ ciò che è ‘male’ e ‘male’ ciò che è ‘bene’.

Le ultime vicende del “Sinodo sui Sacramenti da conferirsi ai pubblici peccatori”, che si ostinano a restare nel peccato sono di dominio pubblico e sono caldeggiate dai media. Stando così le cose non si può non affrontarle studiando il male nelle sue radici e nelle sue ultime manifestazioni per risalire alle sua causa e poterlo guarire.

Il caso del Sinodo attuale non può non farci pensare e risalire al “Catechismo” della Conferenza episcopale belga, diretta dal cardinal Daneeels, promulgato nel 1984 , che si presentava come un aggiornamento del “Catechismo” olandese, al quale lavorò il domenicano super-modernista padre Edward Schillebeeckhx attorno al 1968, anno in cui anche l’intera Conferenza episcopale francese si schierava contro l’Enciclica Humane vitae di Paolo VI e si pronunciava a favore della contraccezione.

Come mai si potuti arrivare a tanto? È semplice, come si è visto sopra, quando si nega il principio per sé noto speculativo di identità e non contraddizione si perde anche il principio per sé noto di ordine pratico o la sinderesi, che riposa su quello di identità; per cui si smarrisce la nozione di bene e di male, li si confonde e si prende il male per bene e viceversa. “Chi perde la fede perde la testa”.

Il principio d’identità, che ha retto e diretto la filosofia classica da Socrate, Platone, Aristotele, Cicerone, Seneca sino a quella patristica (Sant’Agostino), la scolastica (san Bonaventura e San Tommaso d’Aquino) e la neo-scolastica , è stato negato nell’antichità dai sofisti ed ha caratterizzato il fulcro della filosofia moderna soprattutto hegeliana, la quale si basa sulla contraddittorietà (tesi/antitesi/sintesi) quale mezzo per giungere alla conoscenza filosofica.

Le conseguenze pratiche, etiche e morali di tale rifiuto sono state tratte soprattutto dalla filosofia post-moderna e contemporanea a partire da Nietzsche , Marx e Freud, secondo la quale bisogna sovvertire il sistema di valori morali classici e cristiani per sostituirgliene uno diametralmente opposto, che ritenga bene ciò che era male e male ciò che era bene. Quindi si può fare la seguente equazione: il Vaticano II sta alla Modernità illuminista come il Nichilismo della Post-modernità sta al Post-concilio e specialmente al “Bergoglismo” a-teologico e iper-pastorale.

Infatti il Concilio Vaticano II ha voluto dialogare e far propria la Modernità come categoria filosofica e nel Post-concilio non solo qualche teologo, ma i “periti conciliari” più rinomati (creati poi cardinali) ed intere Conferenze episcopali hanno tirato delle conclusioni sia in campo dogmatico che morale, le quali sono paragonabili allo spirito del Sessantotto, preparato dalla Scuola di Francoforte e dallo Strutturalismo francese .

I “valori” autonomi o soggettivi della Modernità sono stati annichilati dalla Post-modernità, la quale ha reso alla filosofia moderna ciò che essa aveva fatto alla filosofia classica e scolastica. Se la Modernità ha cancellato la oggettività e realtà ontologica di Dio e dell’aldilà, la Post-modernità ha voluto distruggere persino l’idea soggettiva dell’ultra mondano.

Addirittura con Francesco I si è passati dai “valori” soggettivi o autonomi della Modernità ai contro-valori della Post-modernità, il “bene” soggettivo e puramente umano è diventato un contro-valore o un male da schiacciare, dalla morale autonoma o della situazione si è passati all’immoralismo teorico/pratico per principio, il bene è diventato male e il male bene. Francesco I lo ha dichiarato nella sua prima intervista a Eugenio Scalfari: “Il Vaticano II, ispirato da papa Giovanni e da Paolo VI, decise di guardare al futuro con spirito moderno e di aprire alla cultura moderna. I padri conciliari sapevano che aprire alla cultura moderna significava ecumenismo religioso e dialogo con i non credenti. Dopo di allora fu fatto molto poco in quella direzione. Io ho l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare” (Repubblica, 1° ottobre 2013, pag. 3).

Purtroppo Giovanni XXIII e il Vaticano II invece di guarire l’uomo ferito dal peccato originale, hanno cercato di minimizzare e di assecondare le false idee e di rilassare i precetti morali che il Vangelo contiene ed “hanno reso la piaga cancrenosa”, come dice il proverbio.

Come si può facilmente scorgere il Neo-modernismo è ben peggiore del Modernismo (come la Post-modernità lo è per rapporto alla Modernità), poiché ha rimpiazzato la pur debole “idea soggettiva” di “bene” con il male voluto scientemente e per principio. In breve l’Ultramodernismo porta al parossismo suicida l’errore nichilistico del Neomodernismo.
L’attuale situazione della Chiesa è un vero tormento e non ci deve portare a disprezzare la figura del Papa in quanto tale né il Papato, anzi dobbiamo difenderli quando sono attaccati da coloro (v. Dichiarazione dell’Onu del 5 febbraio 2014) che li odiano in quanto tali, nonostante le edulcorazioni e gli annacquamenti che sono stati apportati per rendersi simpatici all’uomo contemporaneo (“quando il sale diventa insipido viene buttato via e calpestato”).

Nello stesso tempo è lecito mostrare con rispetto le divergenze tra la Tradizione costante della Chiesa e l’insegnamento pastorale oggettivamente innovatore, della kasperiana “evoluzione eterogenea” della pastorale e quindi implicitamente del dogma, poiché Kasper si basa sull’errore modernista della “Tradizione vivente” e quindi cangiante, mentre “vivente” è solo il Magistero nella persona del Pontefice regnante (e quindi fisicamente vivente) e non la Tradizione, il dogma e la morale, le quali possono essere approfondite nello stesso senso o omogeneamente, ma mai evolvere eterogeneamente o in senso sostanzialmente diverso.

Avendo abbandonato la morale naturale e oggettiva per aderire alla “morale della situazione” e al Modernismo ascetico, il Teilhardismo (sin dagli anni Venti-Trenta), la pastorale del Concilio Vaticano II (1962-1965) e il primato della prassi della super-pastoralità del Post-concilio (1965-2014) hanno aperto la porta alla forza propulsiva e annichilatrice delle passioni disordinate. Non si è voluto più insegnare a sublimare, dominare, padroneggiare le passioni per finalizzarle al bene, ma, sotto pretesto di non “reprimere”, le si è lasciate in balìa del disordine, che porta l’uomo ad agire male. In verità nell’uomo, dopo il peccato originale, vi sono delle tendenze o inclinazioni disordinate, che lo spingono al male. Esse sono la Tre Concupiscenze: “Orgoglio, Avarizia e Lussuria”. Quindi l’educazione delle passioni o istinti sensibili umani è di capitale importanza. Non si tratta di annullarle o reprimerle, ma di educarle e subordinarle all’intelletto e alla volontà e ultimamente alla grazia . Ecco come si è giunti al “Catechismo” olandese, belga e all’attuale “Sinodo della pastorale sacramentale” (ottobre 2014-ottobre 2015) diretto da Kasper & Bergoglio.

Bisogna vivere come si pensa (Fede e Buone Opere), altrimenti si finisce per pensare (luteranamente) come si vive (“pecca fortiter sed fortius crede”). Certe teorie incresciose (dare i Sacramenti ai peccatori pubblici, che si ostinano nel peccato e non lo vogliono lasciare) sono stati pianificate e pensate dal Teilhardismo (“l’eterno femminino”), dal Vaticano II (“connubio spurio con la modernità antropo-centrica dei senza Dio”) e dal Post-concilio (“connubio spurio con la Post-modernità nichilistica dei contro Dio”). Ora un errore (Vaticano II) non si corregge con un altro errore (“il Concilio Vaticano III” di Martini, Rahner, Schillebeeckhx, Küng, Kasper & Bergoglio) o con una mezza verità (“l’ermeneutica della continuità balthasariana conclamata da Benedetto XVI, però non provata” ), ma con la verità integralmente affermata e vissuta. “Instaurare omnia in Christo”.

Quando dopo l’Umanesimo e il Rinascimento scoppiò la rivolta protestante, la Chiesa si interrogò e capì che le false idee e i costumi rilassati umanistico/rinascimentali si erano infiltrati nel clero e nel popolo cattolico e volle riformarsi tramite il Concilio di Trento, nel quale la Somma Teologica di san Tommaso d’Aquino era aperta davanti l’altare dell’Assise conciliare tridentina. Da essa nacque la fioritura teologica e ascetica della Controriforma (la seconda Scolastica e la spiritualità ignaziana e carmelitana di S. Giovanni della Croce e S. Teresa d’Avila), che hanno prodotto insigni teologi, Dottori ecclesiastici e grandi Santi.
Oggi bisogna, con la grazia di Dio, ri-educare tutto l’uomo, nel fisico, nelle passioni sensibili, nelle idee e nell’agire morale e soprannaturale. Non è la Modernità che ci salverà, neppure il dialogo inter-religioso, ma la Verità, che è Gesù Cristo heri, hodie et in saecula.

Che fare?

A scuola di perdizione: la nuova educazione di Stato


La scuola, sotto l’ombrello legittimante delle normative internazionali europee recepite con solerzia dall’ordinamento interno, si sta trasformando, con rapidità sconcertante, in un laboratorio della follia del gender e della più spinta pedo-pornografia. La poderosa macchina da guerra messa in campo dal movimento omosessualista internazionale, forte delle sue potenti lobbies e dei relativi formidabili finanziamenti, è riuscita a penetrare negli uffici governativi – in particolare in quelli che hanno a che fare con la Pubblica Istruzione, o che agiscono in sua vece (Pari Opportunità, UNAR) – ed a condizionare i programmi scolastici dalla scuola materna all’Università.

Così, su pressante sollecitazione delle istituzioni centrali e locali, nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado – ma anche nelle scuole cattoliche che, quasi dovessero scontare un complesso di inferiorità, si lanciano in clamorose fughe in avanti – si stanno attivando in orario curricolare (e spesso all’insaputa dei genitori) corsi di educazione all’affettività ed alla sessualità, per i quali vengono stanziate ingenti risorse di denaro pubblico.

L’intento dichiarato è quello di educare gli alunni alla conoscenza di sé e all’autostima, al rispetto dell’altro, all’accettazione delle diversità, al superamento degli stereotipi sessuali e sociali, alla pacifica convivenza in contrasto anche al fenomeno del c.d. bullismo. Ma dietro queste formule attraenti si nasconde in realtà una propaganda micidiale, che sta investendo ogni ambito della vita sociale e che ora mira ad impossessarsi dei bambini e degli adolescenti proprio attraverso l’educazione scolastica di Stato.

Si pretende di inoculare loro: che maschio e femmina non si nasce, ma si diventa come e quando si vuole secondo la percezione che si ha di sé stessi ed anche in contrasto col dato biologico; che la famiglia non si fonda sull’unione tra l’uomo e la donna, ma su ogni forma di convivenza, anche tra persone dello stesso sesso; che l’omosessualità è una normale variante della sessualità, da promuovere come un valore per la società; che fin dalla più tenera età è necessario conoscere il linguaggio e le pratiche della sessualità (tanto per intenderci, e giusto per fare un esempio, nelle direttive dell’OMS si parla di “esplorazione del proprio corpo e di quello altrui” e di “masturbazione infantile precoce” per la fascia di età da 0 a 4 anni).

In sintesi si mira:

- alla destrutturazione dell’identità sessuale del bambino durante la sua formazione;

- alla demolizione della famiglia;

- alla promozione della omosessualità e delle sessualità “diverse”;

- alla erotizzazione precoce dei bambini, secondo una visione pansessualista della esperienza umana.

Nel corso degli ultimi decenni si è assistito alla progressiva erosione di quei princìpi etici in cui la società bene o male si riconosceva compatta, senza distinzione di credo religioso e di fede politica, perché indiscussi capisaldi di ogni consesso umano. In questo processo di sfilacciamento del tessuto sociale, la legge ha sempre avuto il ruolo decisivo di far scattare il cambio di paradigma etico: ciò che viene reso giuridicamente lecito diventa automaticamente accettabile anche dal punto di vista morale; la norma ha il potere di affievolire il disvalore percepito dalla coscienza collettiva, che tende via via ad identificare il bene e il male con ciò che la legge consente e non consente. La natura (intesa come ciò che afferisce intrinsecamente all’umano) viene sacrificata sull’altare della autodeterminazione, della libertà onnipotente, e viene di fatto vilipesa da un “diritto positivo” che, nel frattempo, ha perso per strada la sua funzione.

Divorzio, aborto, fabbricazione degli esseri umani in laboratorio, eutanasia, sono tutte tappe in certo modo previste e prevedibili di questa avanzata antiumana, sempre peraltro oliata dalle forze sedicenti cattoliche dell’apparato politico e clericale.

Ma ora ci troviamo di fronte ad un passaggio ulteriore, che si sta realizzando con una accelerazione impensabile, e che ci coglie – questo sì – davvero impreparati e inermi.

Dopo l’attacco alla vita più indifesa, la vita nascente e morente, e alla struttura stessa della famiglia, l’obiettivo è stato puntato sull’educazione dei bambini e degli adolescenti. L’invasione del campo della educazione è l’ultima tappa di questa avanzata, ed è anche la prova provata che si tratta di un vero e proprio piano di matrice totalitaria lanciato su scala internazionale da fortissimi gruppi di potere. In senso cronologico seguiranno certamente passaggi ulteriori, perché una volta rotte le paratie l’onda montante non può che avanzare (se ora si propagandano l’indifferentismo sessuale e l’omosessualismo, sono alle porte pedofilia e incesto, e poi sarà la volta di zoofilia e di chissà cos’altro, si giungerà al cannibalismo legalizzato forse…), ma dal punto di vista logico questa è la tappa che assorbe tutto il resto: è infatti qualcosa a cui, nel disegno diabolico, nessuno deve sfuggire.

Il cerchio si chiude: tolta di mezzo la famiglia, espropriata del suo ruolo educativo, si hanno finalmente in pugno le nuove generazioni, da allevare come polli in batteria in ossequio all’ideologia dominante: da programmare, da indottrinare, da omologare. Teniamo presente, poi, chi saranno questi bambini: saranno i sopravvissuti – letteralmente – tra quelli che, sempre più, verranno prodotti, selezionati, congelati, comprati, scartati, eliminati se difettosi o non corrispondenti ai desiderata di adulti variamente accoppiati (tanto, si sa, basta l’amore).

Per realizzare appieno la costruzione di questo mondo nuovo di ominidi tutti uguali, eterodiretti ma persuasi ad essere fieramente autodeterminati e capaci di controllare e comandare persino la natura (vedi gender), il primo scoglio da abbattere per avere a disposizione soltanto individui destrutturati e plasmabili a piacimento è la famiglia.

È già successo con tutte le rivoluzioni totalitarie; ma quella “silenziosa” che ci tocca in sorte di vivere è la più insidiosa, perché per tanto tempo ha lavorato sottotraccia e ora si presenta con uno spiegamento capillare di forze sotto le vesti subdole della normalità: il nemico è ovunque, non si riconosce più nemmeno dalla divisa che indossa, ed è saldamente titolato dal mito del progresso.

La stagione di tutte le libertà inaugurata alla fine degli anni ’60 è davvero finita nel pozzo di tutte le follie. Le idee degenerate che pretendono di creare, di inventare la realtà delle cose, hanno osato abolire la legge morale naturale e, al fondo, la legge di Dio che la sostanzia. Contro questa legge immutabile è stata ora innalzata l’idolatria delle pulsioni e dei capricci dell’uomo, delle sue voglie e delle sue ambizioni, delle sue viltà, dei suoi egoismi primordiali e delle sue miserie; di una pura animalità non più al guinzaglio della ragione. E la nostra capacità di reazione è incredibilmente fiaccata, siamo tutti mediaticamente traviati, ipnotizzati dagli imbonitori di turno che ci martellano in testa in gergo televisivo le nuove categorie dell’irrealtà, e siamo così indotti a recitare a soggetto nel teatro dell’assurdo.

Nel quadro di questo graduale scollamento dalla realtà, la verità delle cose è stata scalzata via dalla fluidità delle opinioni e dalla suggestione collettiva. L’arma risolutiva si rivela, ancora una volta, la legge dello Stato, che non presuppone più un’etica, ma la costruisce a piacimento dell’eletto di turno e del suo tutore mediatico, in ossequio alla dittatura egemone degli organismi sovranazionali.

È così che l’ultimo attacco portato alla vita umana, alla vita individuale e a quella collettiva, proveniente dal mostruoso programma di educazione sessuale, risponde al disegno di colpire i più piccoli, di distruggere in loro il senso del pudore ed il senso di cose che appartengono ad un altro tempo della vita. Di violentare la loro libertà morale e la loro sensibilità attraverso l’iniziazione forzata all’esperienza dei fenomeni legati alla sfera sessuale.

C’è, in tutto questo, la feroce invidia dell’adulto per l’innocenza di cui non è più capace, e che vuole rapinare a chi non è in grado di difendersi.

C’è la precisa volontà di costringere la famiglia a consegnare i propri figli, quali vittime sacrificali, al Leviatano statale.

Questi programmi, infatti, sono approntati in seno a quegli organismi internazionali (OMS e affini) nati per combattere la vita e la famiglia in nome del benessere, della salute, della solidarietà, dell’equità, della democrazia, dell’autodeterminazione, del rispetto delle diversità, al fine di essere recepiti negli ordinamenti interni. E l’intenzione manifestata apertamente è quella di sollevare i genitori – che sarebbero per definizione sprovvisti di adeguati strumenti tecnici – dall’onere di accompagnare i propri figli nella crescita. L’educazione viene trasferita di autorità allo Stato, che la esercita per mezzo dei suoi “esperti”, secondo i famigerati modelli di ben noti regimi totalitari.

Ora, in condizioni normali, sarebbe legittimo chiedersi se tutto ciò non sia frutto di un delirio paranoide e maniacale. Invece, i tempi sono tali che il programma è stato commentato con malcelato compiacimento persino dal più diffuso organo di stampa “cattolico” — il quale, invero, si adopera instancabilmente per normalizzare ogni dissenso, sino a renderlo tanto innocuo da non disturbare il manovratore. Il che contribuisce poi a spiegare l’apparente inerzia delle persone, private della normale capacità di reazione da un’informazione fuorviante e capziosa, somministrata anche da chi spende, abusandone, la qualifica rassicurante di “cattolico”.

Il vero problema – a ben vedere – è proprio questo: che una mostruosità conclamata possa, anziché venire rigettata come un’allucinazione, essere assorbita quasi passivamente da una società narcotizzata che ha perso i naturali criteri di giudizio.

Proviamo ad analizzare le cause del fenomeno.

L’uomo-misura-di-tutte-le-cose, quello che si dà le proprie leggi senza un parametro superiore, approda inevitabilmente al proprio suicidio. Un po’ come la barca che perde il timoniere o gli strumenti di bordo, e non vede più le stelle sopra di sé a darle l’orientamento. Molto di quello che accade oggi è già accaduto nelle antiche città bibliche, nella dissoluzione della società romana, negli orrori rivoluzionari e di ogni regime sanguinario.

Di orrori, l’uomo è sempre stato capace, ma fin quando ha avuto un dio od un’etica superiore a cui rispondere, ha sentito pur sempre le proprie nefandezze come trasgressione, come peccato: e il peccato riconosce la legge che lo precede, la quale legge, a sua volta, non è cancellata dall’eventuale perdono. Resta vigente, a segnalare il dover essere.

La degenerazione della società attuale – che è la somma di tante degenerazioni –, ha un aspetto nuovo rispetto al passato: il peccato, ora, è cancellato perché è cancellata la legge, sostituita da un suo simulacro, dalla volontà legittimatrice dell’uomo sotto le spoglie della legge. Il senso della trasgressione è così riassorbito. O meglio, la trasgressione è normalizzata.

L’approdo ultimo di questa corsa verso il baratro è il desiderio – autentica libidine – di appropriarsi dell’infanzia, per distruggerne l’innocenza, quella dote unica con cui ognuno viene al mondo.

Il bambino coglie d’istinto ciò che appartiene all’anima, quindi alla parte spirituale dell’uomo, perché egli è vicino all’origine delle cose; si sente dipendente, e per natura riconosce una legge superiore. La sua innocenza, infatti, si manifesta anche nel senso del pudore – il pudore del corpo e quello dei sentimenti – così come nel senso del sacro, nella percezione del mistero. Tutto questo entrerà prima o poi in conflitto, in lui, con le pulsioni naturali della crescita. Ed è qui che entra in gioco l’educazione, che ha il compito di comporre questo dissidio in vista di una maturazione complessiva dell’individuo.

Da sempre, la funzione dell’adulto è stata quella di mettere la propria sapienza, che è conoscenza di sé e della vita, al servizio di chi quella vita deve ancora imparare. E-ducere significa “tirare fuori” ciò che di buono è connaturato, quel seme naturale che è racchiuso in ciascuno di noi, insegnando a controllare l’istinto.

Nel nostro tempo questo rapporto atavico tra il bambino e chi ha la responsabilità di accompagnarlo nella vita è stato già incrinato e, a poco a poco, capovolto: l’adulto, tanto spesso incapace di custodire il mondo sacro dell’infanzia perché incapace di immedesimarsi in una sensibilità di cui ha perduto il ricordo, vi proietta una nostalgia che gli fa osservare il bambino come lo specchio dei propri desideri, delle proprie curiosità, dei propri rimpianti, delle proprie ambiguità.

Ma ora, improvvisamente, si va oltre tutto questo: l’adulto onnipotente allunga le sue mani sul bambino per appropriarsene come un giocattolo da fabbricare e manipolare a piacimento, e magari da distruggere e buttare via. Quale fenomeno isolato, in fondo, è ciò che è raccontato dalle favole di sempre, che mettono in guardia il piccolo dalle insidie dell’uomo nero. L’uomo nero, adesso, è un mostro diffuso, e indossa le vesti borghesi dell’accademico, del burocrate, del politico, dello scienziato, del filosofo impegnato, del moralista di avanguardia, persino del prete “aggiornato”. Costoro, tutti insieme – agghiacciante paradosso! – si presentano come esperti benefattori, sensibili alle presunte esigenze delle vittime disvelate attraverso l’occhio, penetrante e infallibile, della psicologia militante. Il rapporto, comunque, è definitivamente quello tra un soggetto ed un oggetto: è la prevaricazione dell’uomo sull’uomo, dell’uomo più forte nei confronti del suo simile più debole e privo di difese.