Il protestantesimo aveva costituito un attacco molto duro contro la Chiesa e causato una profonda lacerazione della Cristianità nel XVI secolo, ma non era riuscito a instillare nelle nazioni cattoliche il veleno del suo naturalismo politico e sociale sino a quando questo spirito secolarizzante non raggiunse le università, e poi coloro che vennero chiamati i Filosofi dei Lumi.
In fondo, da un punto di vista filosofico, il protestantesimo e il positivismo giuridico hanno un’origine comune nel nominalismo del Medio Evo decadente, che trovò il suo sbocco sia in Lutero con la sua concezione puramente estrinseca e nominale della Redenzione, che in Descartes con la sua idea di una legge divina indecifrabile sottomessa al puro arbitrio della volontà di Dio.
Tutta la filosofia cristiana affermava però, con san Tommaso d’Aquino, l’unità della legge divina eterna e della legge umana naturale: «La legge naturale non è nient’altro che una partecipazione della legge eterna nella creatura dotata di ragione», scrive il Dottor Angelico (I II 91,2).
Ma con Descartes viene già prodotto uno iato tra il diritto divino e il diritto umano naturale. Dopo di lui i professori delle università e i giuristi non tarderanno a determinare la medesima cesura. […]
La filosofia dei lumi immagina uno «stato di natura» che non ha più nulla a che vedere con il realismo della filosofia cristiana e che culmina nell’idealismo con il mito del buon selvaggio di Jean-Jacques Rousseau.
La legge naturale si riduce a un insieme di sentimenti che l’uomo ha da se stesso e che sono condivisi dalla maggior parte degli uomini; in Voltaire si trova il dialogo che segue: «B. Cos’è la legge naturale? A. L’istinto che ci fa sentire la giustizia. B. Cosa chiamate voi giusto e ingiusto? A. Ciò che sembra tale all’universo intero» (6).
Un esito simile è il frutto di una ragione che ha perso la bussola, che nella sua sete di emancipazione da Dio e dalla sua rivelazione ha tagliato anche i ponti con i semplici princìpi dell’ordine naturale, che la Rivelazione divina soprannaturale richiama e il magistero della Chiesa conferma.
Se la Rivoluzione ha separato il potere civile dal potere della Chiesa, ciò trova la sua radice nel fatto che essa aveva separato da parecchio tempo, in coloro che si fregiavano del nome di filosofi, la fede e la ragione.
Non è fuori luogo ricordare quel che insegna a tal proposito il concilio Vaticano I: «Non soltanto la fede e la ragione non possono mai essere in disaccordo, ma si prestano anche mutuamente appoggio; giacché la retta ragione dimostra i fondamenti della fede e, rischiarata dalla luce di quest’ultima, si dedica alla scienza delle cose divine mentre la fede, dal canto suo, libera e protegge la ragione dagli errori e la istruisce di una molteplice conoscenza» (7).
Ma la Rivoluzione si è appunto compiuta in nome della dea Ragione, della ragione deificata, della ragione che si erge a norma suprema del vero e del falso, del bene e del male.
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6) Voltaire, dialoghi
filosofici, l’A.B.C. 1768, Quarta
conversazione, Della legge naturale e della curiosità,
citata da Paul Hazard, op.
cit.7) Costituzione de fide catholica «Dei Filius», Dz 1799.
(Fonte: Mons. Marcel Lefebvre - Lo
hanno detronizzato. Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia
conciliare)