Le politiche governative anti-Covid stanno facendo a pezzi la Carta costituzionale, ma è la logica conseguenza di un cambiamento radicale del suo significato: da dichiarazione di princìpi e valori indisponibili a disposizioni interpretate alla luce della cultura dominante. Se la Costituzione è frutto di una “decisione” e non contempla più, come del resto la cultura diffusa, un ordine oggettivo, allora una decisione può anche sospendere le garanzie costituzionali e nessuno avrà nulla da dire. Come infatti avviene. Intervento di Stefano Fontana dalle colonne della Nuova Bussola Quotidiana
Le politiche governative anti Covid pongono molti problemi di legittimità costituzionale davanti ai quali sembra interessante chiedersi perché non ci sia stata finora una adeguata reazione in difesa della Costituzione. Tanto più che oggi, nell’era Napolitano-Mattarella, la Carta costituzionale è ossequiata più che mai e proclamata la più bella del mondo. Ma allora perché gli italiani non la difendono?
Nella Prima Repubblica la nostra Carta costituzionale non era esaltata fuori misura come avviene oggi. Quando ancora esistevano le grandi ideologie politiche, essa era vista più che altro come un ingombro, un accomodamento temporaneo in vista di nuovi assetti politici da doversi instaurare. Neofascisti, liberali, comunisti, cattolici … erano, per motivi diversi, scettici sulla Costituzione il cui testo era nato da un compromesso tra le correnti antifasciste rappresentate nella Costituente. La relativizzavano, però la difendevano.
Invece oggi, nella Terza Repubblica, la Costituzione è fatta oggetto di culto indiscusso e indiscutibile, ma non viene difesa dalle politiche anti-Covid. Il fatto è che da quando la Costituzione è entrata in vigore sia la società che la Costituzione hanno mutato volto, aiutandosi reciprocamente a farlo. Si è trattato di un circolo vizioso, che spiega la stranezza odierna, quando nessuno si permette di criticare la Costituzione e nello stesso tempo nessuno la difende dagli abusi del potere.
Il circolo vizioso a cui ho accennato può essere definito di progressiva secolarizzazione sia della società che della Costituzione. In origine questa veniva interpretata dalla maggioranza degli attori politici non come un mero “patto convenzionale” o il frutto di una “decisione”, ma come una dichiarazione di principi e valori oggettivi e indisponibili. Quando la Costituzione entra in vigore, la società italiana è ancora impregnata da una cultura e da una morale a base naturale, il matrimonio era abbastanza solido, la famiglia naturale era sostanzialmente rispettata, la religione cattolica era ancora molto diffusa nei ceti popolari, il clero era ancora ossequioso verso la tradizione. A parte alcune élites intellettuali e politiche, nessuno avrebbe pensato a leggi come quelle che oggi prevedono il divorzio, l’aborto, l’equiparazione delle coppie omosessuali al matrimonio tra uomo e donna. Per questi motivi la Costituzione non era vissuta come un testo normativo meramente formale, ma come un testo radicato in un ordine oggettivo, nonostante le diverse forze politiche e ideologiche valutassero diversamente questo ordine.
Come sappiamo, in seguito le cose sono molto cambiate. Tutte le ideologie politiche che fecero la Costituzione si sono laicizzate, perdendo il loro significato forte. Il comunismo ha rinunciato all’idea della rivoluzione ed è diventato omogeneo alle richieste del radicalismo individualista e borghese della società irreligiosa ed opulenta. Oggi gli obiettivi delle sinistre sono uguali a quelli dei radicali. I cattolici hanno traghettato la democrazia italiana nella società del relativismo radicale e i loro esponenti nelle istituzioni repubblicane hanno firmato tutte le leggi contro natura via via approvate.
La Chiesa stessa si è secolarizzata, rinunciando ad un suo ruolo pubblico in quanto religione vera e assumendo un ruolo più dimesso e incerto di forza animatrice di una società genericamente solidale e della vita democratica. Con la radicale diminuzione della pratica religiosa, con il cambiamento di prospettiva della Chiesa dopo il Concilio, con le ambiguità a proposito dell’impegno politico dei cattolici, la società italiana non ha perso solo i riferimenti religiosi ma anche quelli relativi ai fondamenti dell’etica pubblica.
Assieme alla società, anche la Costituzione si secolarizzava. Molteplici sentenze della Corte costituzionale hanno tolto alla Costituzione i suoi possibili fondamenti oggettivi e naturali, riducendola ad un insieme di disposizioni rispondenti solo ai criteri del positivismo giuridico, Molte leggi italiane riguardanti la famiglia e la vita sono state approvate in evidente contrasto con la lettera della Costituzione, ma la Corte costituzionale le ha considerate sempre legittime.
Si aggiunga infine l’opera demolitrice delle sentenze dei giudici ordinari che con i loro interventi, a cominciare dalla sentenza Eluana Englaro fino a quelle sulla legge 40 circa la fecondazione artificiale, per arrivare alla recente sentenza sul caso Cappato riguardante il cosiddetto “aiuto al suicidio”, hanno contribuito a indebolire il quadro costituzionale rispetto ai suoi riferimenti oggettivi e naturali.
Si spiega allora l’attuale “patriottismo costituzionale” e nello stesso tempo la mancanza di reazione alle ferite inflitte alla Costituzione dalle politiche anti-Covid. La società frantumata, relativista e individualista è conforme ad una Costituzione a sua volta intesa come artificio giuridico da parte di un potere autoreferenziale. Il vuoto di riferimenti oggettivi e assoluti nella società post-naturale e post-cristiana va d’accordo con un testo costituzionale considerato vuoto di contenuti previ e indisponibili. Se la Costituzione è frutto di una “decisione” e non contempla più, come del resto la cultura diffusa, un ordine oggettivo, allora una decisione può anche sospendere le garanzie costituzionali e nessuno avrà nulla da dire. Come infatti avviene.