I disastri del nuovo linguaggio postconciliare

Il verbo dell'uomo è scaturito da un ordine di suprema armonia. È questa un'immutabile e fondamentale conoscenza. Il verbo dell'uomo è scaturito dall'ordine dell'Intelligenza eterna del Creatore. Nessun ricorso ad immagini dell'uomo e della società umana, nel più remoto passato, nessuna analisi dei dati delle lingue e dei linguaggi, nessuna speculazione sui dati della psicologia, detta sperimentale, nessuna ricerca in qualsiasi campo, può alterare questa grande e profonda verità, che è e deve essere sempre alla base di ogni meditazione e di ogni speculazione a proposito della verità, di Dio, dell'uomo e dei suoi eterni destini. Il verbo dell'uomo ha la sua origine nel Verbo di Dio.

Assistiamo, ormai già da tempo, ad un ostinato sforzo per rinnovare la nozione fondamentale della parola e dei rapporti dell'uomo con la sua propria parola e con la parola degli altri. Questo, che lo si voglia o no, conduce dapprima alla negazione o all'oblio dell'origine e della natura del verbo dell'uomo, e poi ineluttabilmente alla distruzione nell'uomo delle fondamentali basi ontologiche della parola umana.

Questa alterazione si compie in seno all'ermeneutica, alterando radicalmente ogni norma di logica eterna dell'Interpretazione. In tutte le direzioni e in tutte le attività intellettuali, si nota facilmente un'effervescenza nella ricerca di un nuovo linguaggio, ricerca patetica di una nuova lettura dei testi, e non soltanto di quelli della Sacra Scrittura, ricerca di una nuova concezione del fatto di «comprendere»; nuove norme, sempre labili, per l'interpretazione dei testi, dei segni ed anche dei fatti. 
 
Questa ricerca conduce, per forza di cose, ad uno sforzo di analisi dei rapporti tra testo e autore, tra testo e lettore, tra autore e lettore, tra interlocutori, tra opera e ambiente storico; analisi senza fine, in quanto non è possibile stabilire un qualche possibile punto fisso di riferimento; perché tutte le nozioni e i contatti tra le opere e gli uomini sono presi nella danza di un «impalpabile esistenziale».

Questo sforzo di analisi fa scomparire dalla coscienza le basi ontologiche del verbo dell'uomo. E l'uomo si sente preso in un interminabile flusso e riflusso tra soggetto e oggetto, tra realtà fugace e la percezione di questa fugace realtà. L'uomo così non ha alcun punto di appoggio, nel suo naturale movimento di conoscenza; perde ogni possibilità di saldo riferimento al suo proprio essere, non ha più norma interiore, immutabile, della parola umana. I testi, il sapere, i ricordi, la grammatica, il senso di sé e il senso dell'altro, sono talmente rimessi in causa che subiscono come una diluizione, perdendo ogni consistenza. Ad ogni istante, la parola vacilla; nel desiderio di cogliere, non una cosa o un'idea, ma la quintessenza di un «momento di comprensione», le parole perdono i loro rapporti intrinseci con l'ordine originario della parola; le parole perdono ogni possibilità di render stabile un significato.

Dispaiono, allora, con i significati di base, anche tutte le possibili sfumature delle parole e dei significati. L'uomo diviene così incapace di recepire una certezza.
 
Questa è la più grande prova per la parola dell'uomo, nel quadro dell'ermeneutica del nostro tempo.
Nei secoli che recano l'impronta dello sviluppo della mentalità storicista, ha preso forma e si è sviluppata una lettura sempre più nuova dei testi dell'Antico e del Nuovo Testamento. E in tal modo sono nate e si sono sviluppate tutte le peculiari forme della nuova critica della Sacra Scrittura.
Questa nuova e sempre più nuova lettura, questa critica è emersa e si è sviluppata su un duplice criterio storicista: da un lato, ricontrollare tutti i fatti e tutte le testimonianze riportate da questa stessa Sacra Scrittura, attraverso criteri e fonti d'informazione della storia generale; dall'altro, recepire il messaggio della Scrittura, come un messaggio di escatologia intra-storica.
Contemporaneamente, questo medesimo controllo e questa medesima analisi dei testi della Sacra Scrittura sono stati effettuati su basi letterarie, filologiche, archeologiche, etnologiche, ed anche secondo i dati sempre nuovi delle scienze sperimentali, come la fisica e l'astronomia. [...]

La critica storica, letteraria e filologica non si è limitata soltanto ai quadri della Sacra Scrittura; si è estesa a tutti i testi apostolici, patristici, agli Atti dei Concili e di tutto il Magistero della Chiesa.
E in tal modo ha preso forma una tendenza a reinterpretare i testi scritturali, i testi teologici dei Padri, i testi dogmatici della Chiesa; tendenza che ha finito col «reinterpretare» ogni scritto, ogni fatto e insegnamento giunto fino a noi tramite la Tradizione; «reinterpretare» interamente l'avvento e il messaggio di Cristo.

È evidente che tutto questo vasto evento della nuova critica ha fondamentalmente influenzato in molti la nozione della fede della Chiesa, e di conseguenza l'orientamento della teologia, cosiddetta biblica, e della teologia in genere, essendo stato rimesso in causa da successive «reinterpretazioni» il fondamento dogmatico della Chiesa. [...]

Questo sforzo più o meno cosciente e più o meno intenso d'emancipazione, ha preso la forma di una rivoluzione che ha intaccato tutti i campi del pensiero e la carità della vita cristiana. Questa emancipazione va oltre alle divergenze di idee e di dottrine, divergenze che si verificano sulle stesse basi della parola umana. A causa dell'emancipazione, infatti, l'Amore e la Conoscenza sono stati messi a dura prova nella cristianità, perché il verbo, la nozione del verbo sono stati scossi nelle loro basi umane ontologiche e di ordine eterno.

CARD. GIUSEPPE SIRI (Getsemani)