Getsemani. Riflessioni sul Movimento Teologico Contemporaneo - settima parte

L'alterazione della storia

La cultura universale del nostro tempo, in tutte le sue manifestazioni e ripercussioni intellettuali e pratiche, è dominata in profondità e in superficie da un orientamento del pensiero e della sensibilità che ci si sforza di esprimere con la parola «storia» e i suoi derivati. 

Quel che ogni volta s'intende con questa parola «storia» è una nozione o una realtà o una qualità variabilissima che permette di orientare il pensiero e il discorso, sulla base di questo stesso mutevole vocabolo, in differenti direzioni, in modo che le cose e i vocabolari non possano più avere, né nell'intimo dell'uomo, né nel discorso, un significato universalmente compreso ed ammesso.

Nondimeno parlare della Storia o di filosofia della storia, di ragione storica, di coscienza storica, di senso della storia e di altre espressioni con sfumature derivate dalla parola «storia», presuppone perlomeno che si ammetta un qualche significato stabile della nozione «storia», significato che verrebbe a costituire un criterio generale, cioè un punto di riferimento.

Giacché per dare una definizione o anche per fare una semplice precisazione esplicativa di un evento o di una serie di eventi e di fatti, sì incerti o sottili che siano, occorre avere un criterio centrale, occorre riferirsi a un qualche punto di riferimento nel linguaggio e tramite esso; punto di riferimento che non sia soltanto supposto o vagamente sottinteso, ma che sia, - con tutte le sfumature che si voglia - esplicito e formulabile. 

È una fondamentale necessità dell'intendimento, una necessità di logica elementare e di coerenza richiesta intimamente da ogni uomo, moralmente se non intellettualmente libero, e dunque in buona fede.

Questo vale tanto per la filosofia, come per la scienza, la metafisica, la teologia; questo vale per ogni campo del pensare e del sentire.

In questo sempre più esteso fenomeno di polivalenza dei termini e dei vocabolari, si è sviluppata una più specifica tendenza che si potrebbe chiamare il culmine della «frenesia linguistica»: è uno sforzo per reperire una nuova comprensione dei testi e dei fatti, ed anche per porre e risolvere problemi circa la vita, la storia, l'anima, la fede, l'origine e il fine ultimo, basandosi su considerazioni spesso troppo sofisticate e lambiccate fino all'assurdo, del linguaggio, delle lingue e dei vocabolari.

Come si vedrà quando tratteremo dell'ermeneutica, questa tendenza ha preso talvolta l'apparenza di una nuova gnosi, di un esoterismo intellettuale. Nonostante, però, il carattere di cui a volte si rivestono questo sforzo e questo metodo, carattere di un sagace e pio desiderio di oggettività, non si può non risentire un profondo malessere come quello che si prova davanti alla manifestazione di un grande disordine, di un grande sconcerto e di una confusione in profondità

Noi, infatti, vediamo chiaramente che nello sforzo di cogliere e di spiegare la realtà del mondo, dell'uomo e della storia tramite una semantica viepiù analizzata e tormentata, si finisce col perdere di vista il vero riferimento al vero verbo interiore dell'uomo.

Perciò occorre tener conto di quel fatto che si è chiamato «frenesia linguistica» che, presto o tardi, conduce alla disgregazione, in seno ad ogni impresa intellettuale, spirituale e morale.

Nell'assieme delle considerazioni circa la storia, nei tempi cosiddetti moderni, talvolta si è guardato all'uomo dell'antichità, come del tutto sprovvisto d'interesse intellettuale o spirituale per il corso delle vicende della terra, per la successione degli eventi e delle società. E questo, a volte, per motivi filosofici, sociologici tendenziosi, e non in una pura ricerca della verità. 

Per capire quel che di realmente nuovo ci sia nel vasto movimento circa la storia e per evitare anche ogni confusione talora provocata dalla «frenesia linguistica», è utilissimo riferirsi innanzitutto ai significati avuti sin dall'inizio dalla parola «storia».

La parola «storia» (***) è antichissima. La sua origine si perde nella misteriosa fonte sacra da dove sono scaturite la parola umana e le lingue. Nella remota antichità, si trova utilizzata con molte sfumature. All'inizio significava ricerca - inchiesta - informazione; ed anche il risultato di un'informazione; cioè a seconda dei casi, significava un sapere o una conoscenza: Erodoto (106), Platone (107), Aristotele (108), Demostene (109). In pari tempo era utilizzata nel senso di relazione orale o scritta di quel che si conosceva, di quel che si sapeva, di quel che era stato reperito; cioè nel senso del racconto: Erodoto (110), Aristotele (111), Plutarco (112) (113).

Da tutti questi riferimenti emerge chiaramente che il termine «storia» era utilizzato certo con differenti sfumature, riassumentesi tutte, però, nelle parole di Aristotele: «le inchieste di quanti scrivono sulle azioni umane» (Retorica I, 4, 1360a), come anche gli stessi fatti riferiti nel loro concatenamento.

Dall'esame della totalità di questa informazione antica riguardante la trasmissione scritta dei fatti e degli avvenimenti accaduti come pure la vasta letteratura in cui si parla della sorte dei popoli, degli interventi degli dei, dei destini e delle ripercussioni nel futuro contratte dagli atti del passato, ci si rende molto facilmente conto di alcune verità utili per comprendere sia l'antichità come i tempi moderni per quel che riguarda la coscienza, la storia e le nozioni del senso della storia e della coscienza della storia; nozioni che sono penetrate ed hanno notevolmente influenzato il pensiero teologico e il pensiero ed il volere nella cristianità. 

Tra queste verità, che l'esame dell'informazione antica mette comunque in evidenza, vanno ritenute le seguenti:

a) Se da un lato, in qualsiasi epoca, l'esame e la maniera di esaminare il passato o il presente sono sempre dipesi e dipendono sia dalla veracità come dalla ricchezza delle fonti d'informazione, d'altro lato è pure incontestabile che questo esame e questo racconto dipendono da quella che si può chiamare la personale ottica generale del relatore in riferimento ad ogni cosa. Prima che qualcuno affronti il vasto problema della conoscenza oggettiva e della nozione del reale, non si può non ammettere l'esistenza di un prisma, particolare ad ogni persona, attraverso il quale viene filtrata ogni esperienza; questa ottica generale sceglie, concatena, colora e agisce come l'occhio, che vede tutte le cose sempre con le sue stesse possibilità naturali; sempre con le stesse, salvo una fondamentale differenziazione nell'intimità della coscienza e dell'intelletto dell'uomo, salvo un mutamento generale dell'essere. Quando si parlerà qui del problema della conoscenza oggettiva del reale, si potrà vedere il perché l'uomo debba rimanere meravigliato davanti a questa armonia nel creato: armonia tra il prisma ontologico sempre personale degli esseri e la conoscenza veramente oggettiva del reale.

b) C'è sempre stata la preoccupazione di essere ben informati per riferire fatti in verità. Il risalire filologico fino alle più remote antichità mostra che il senso di responsabilità riguardo alla verità da descrivere e da trasmettere non fu inferiore a quello dei tempi moderni. Le ingenuità, le lacune in buona fede inevitabili, le descrizioni e le spiegazioni tendenziose, prive di un vero senso di responsabilità verso la verità, non furono nell'antichità né più numerose, né più gravi di quelle che si possono costatare negli uomini, dall'inizio della «storia» fino ai nostri giorni; è il minimo che si possa dire.

c) Nell'esporre lo sviluppo dei fatti o delle idee, ci sono sempre state, per ragioni intrinseche all'umana natura, considerazioni, implicite o esplicite, che possono essere chiamate escatologiche

È necessario che ci ricordiamo sempre di queste tre verità per evitare erronei riferimenti al passato quando si parla della scoperta di una nuova dimensione dell'uomo. La sola cosa nuova fondamentale che è sopraggiunta nei dati e nelle determinazioni della conoscenza, è la Rivelazione.