Colloquio con il mio padre priore

Spesso mi sono domandato se lei non mi mettesse alla prova”.
“Sì, lo facevo. C'era qualcosa di irrisolto dentro di me. Non avevo abbastanza fede per superare le impossibili barriere culturali. Ho ipotizzato semplicemente che i fratelli palestinesi non l'avrebbero mai accettata. Ho ipotizzato che avrebbe portato fra queste povere mura la malattia degli uomini famosi: l'orgoglio, la distruzione delle anime e delle comunità. Mi ero sbagliato”.
Lei aveva ragione”. Il padre priore mi guardò fisso. “Lei aveva ragione, perché nessun uomo è esente dalla tentazione. Ciascuno deve lottare con essa, qualsiasi forma prenda. Non ero orgoglioso, perché sono stato un ministro di governo, e neppure perché si diceva che un giorno sarei diventato primo ministro. Non ero orgoglioso a causa dei miei libri. Ero orgoglioso perché dentro mi rodeva un ideale segreto che continuava a sussurrare, una voce che diceva che avrei potuto salvare il mondo. Che avrei potuto prevenire un altro olocausto. Pensavo di essere come Dio. Un dio buono e umile, naturalmente”.
“Ah, Elia”, mi disse il priore, agitando la mano come per scacciare il pensiero, “lei non è stato tolto dal fuoco per niente”.
Il fuoco è una prova. Purifica o distrugge. Mi sono occorsi anni per liberarmi della sete di vendetta travestita da giustizia. Ero pieno di odio idealistico, quello della peggior specie”.
“La sua intera famiglia è stata annientata. Come avrebbe potuto non odiarci?”.
L'ho fatto per anni. Sono diventato un uomo freddo, come morto. Una conchiglia. La misericordia di Dio l'ha frantumata quando sono diventato credente”.
“Ma non tutto si realizza in un colpo solo”.


(IL NEMICO cap. 1, pag.15 – Michael D. O'Brien)