esso sostiene che
la società può e deve essere costituita e che può sussistere senza
tenere affatto conto di Dio e della religione, senza tener conto di
Gesù Cristo, senza riconoscere i diritti di Gesù Cristo a regnare,
cioè ad ispirare della sua dottrina tutta la legislazione
dell’ordine civile.
Di
conseguenza, i laicisti vogliono separare lo Stato dalla Chiesa (lo
Stato non favorirà la religione cattolica e non riconoscerà come
suoi i principi cattolici) e la Chiesa dallo Stato (la Chiesa sarà
ridotta al diritto comune di tutte le associazioni dinanzi allo Stato
e la sua autorità divina e la sua missione universale non saranno
affatto prese in considerazione).
Si istituirà poi
un’istruzione e anche un’educazione «pubblica», talvolta
addirittura obbligatoria, e laica, cioè atea. Il laicismo è
l’ateismo di Stato tranne il nome! […]
L’indifferentismo proclama
indifferente per l’uomo la professione di una o dell’altra
religione;
Pio IX condanna
questo errore: «l’uomo
è libero di abbracciare e di professare la religione che, guidato
dalla luce della sua ragione, avrà giudicato vera»
(Sillabo,
proposizione condannata n. 15); oppure: «gli
uomini possono trovare la via della salvezza nel culto di qualunque
religione» (n.
16); o ancora: «si
deve ben sperare della salvezza eterna di tutti coloro che non si
trovano affatto nella vera Chiesa del Cristo»
(n. 17).
È facile intuire
le radici razionaliste o moderniste di queste proposizioni.
A questo errore si
aggiunge l’indifferentismo
dello Stato in
materia religiosa: lo Stato afferma per principio di non essere
capace (agnosticismo) di riconoscere la vera religione come tale e di
dover accordare la stessa libertà a tutti i culti.
Acconsentirà
eventualmente ad accordare alla religione cattolica una preminenza di
fatto, dal momento che è la religione della maggioranza dei
cittadini, ma riconoscerla come vera,
dichiara, sarebbe voler ristabilire la teocrazia;
in ogni caso,
sostiene, domandare allo Stato di giudicare della verità o della
falsità di una religione significherebbe attribuirgli una competenza
che questo non ha.
Monsignor Pie (non
ancora Cardinale) osò esporre questo profondo errore, insieme alla
dottrina cattolica del Regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo,
all’imperatore dei francesi, Napoleone III.
In un
colloquio memorabile, con un coraggio tutto apostolico, egli impartì
al principe una lezione di diritto cristiano, di quel che si chiama
il diritto
pubblico della Chiesa.
Ed è con tale celebre conversazione che terminerò questo capitolo.
Era il 1856,
il 15 marzo, ci dice padre Théotime de Saint Just, dal quale attingo
questa citazione (22). All’Imperatore, che si vantava di aver fatto
per la religione più della Restaurazione (23) stessa, il Vescovo
rispose:
«È mia
premura rendere giustizia alle inclinazioni religiose di Vostra
Maestà e so riconoscere, Sire, i servigi che avete reso a Roma e
alla Chiesa, in particolare nei primi anni del vostro governo. Forse
che la Restaurazione ha fatto più di voi?
Ma
lasciatemi aggiungere che né la Restaurazione, né voi, avete fatto
per Dio quel che bisognava fare, giacché né l’una né l’altro
avete risollevato il suo trono, giacché né l’una né l’altro
avete rinnegato i princìpi della Rivoluzione, della quale avete però
combattuto le conseguenze pratiche,
giacché il
vangelo sociale al quale si ispira lo Stato è ancora la
dichiarazione dei diritti dell’uomo, che altro non è, Sire, che la
negazione formale dei diritti di Dio.
«Ora, è il
diritto di Dio comandare agli Stati come agli individui. Questo è
ciò che Nostro Signore è venuto a cercare sulla terra.
Egli deve
regnarvi ispirando le leggi, santificando i costumi, illuminando
l’insegnamento, dirigendo le opinioni, regolando le azioni sia dei
governanti che dei governati. Ovunque Gesù Cristo non esercita
questo regno, c’è disordine e decadenza.
«Ebbene, io
ho il diritto di dirvi che Egli non regna fra di noi e che la nostra
Costituzione non è quella di uno Stato cristiano e cattolico,
tutt’altro.
Il nostro
diritto pubblico stabilisce sì che la religione cattolica è quella
della maggioranza dei francesi, ma aggiunge che gli
altri culti hanno diritto ad un’eguale protezione.
Ciò non equivale a proclamare che la Costituzione protegge allo
stesso modo la verità e l’errore?
Orbene!
Sire, sapete quel che Gesù Cristo risponde ai governati che si
rendono colpevoli di una tale contraddizione? Gesù Cristo, Re del
cielo e della terra, risponde loro: “E anch’io, governanti che vi
succedete rovesciandovi a vicenda, anch’io vi accordo un’eguale
protezione. Ho accordato questa protezione all’imperatore vostro
zio; ho accordato la stessa protezione ai Borboni, la stessa
protezione a Luigi Filippo, la stessa protezione alla Repubblica, e
anche a voi sarà accordata la medesima protezione”».
L’imperatore
interruppe il Vescovo: «Ma dunque voi credete che l’epoca nella
quale viviamo implichi questo stato di cose, e che sia giunto il
momento di stabilire quel regno esclusivamente religioso che mi
chiedete? Non pensate, Monsignore, che ciò significherebbe scatenare
tutte le malvagie inclinazioni?».
«Sire,
quando i grandi politici come Vostra Maestà mi obiettano che non è
giunto il momento, non posso che piegarmi perché non sono un grande
politico.
Ma sono
Vescovo, e in quanto Vescovo rispondo loro: “Non è venuto per Gesù
Cristo il momento di regnare, bene! Allora non è venuto il momento
per i governanti di durare”» (24).
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22) Padre Théotime de
Saint Just, La
Royauté sociale de N.S. Jésus-Christ, d’après le Cardinal Pie,
Beauchesne, Paris 1925 (2ª edizione), pp. 117-121.
23)
La Restaurazione designa
la restaurazione della monarchia con Luigi XVIII, dopo la Rivoluzione
Francese e il Primo Impero. Questa Restaurazione aveva ahimè
consacrato il principio liberale della libertà di culti.
24) Histoire
du Cardinal Pie, T. I,
L. II, cap. II, pp. 698-699.
(Fonte: Mons. Marcel Lefebvre - Lo hanno detronizzato. Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia conciliare)