“Una cristianità può rifarsi, a condizione di correrne i
rischi. E il mondo moderno non pare molto deciso a rischiare”[1].
Così si esprimeva Bernanos a proposito del rischio da assumere
affinché esso divenga la strada necessaria per raggiungere ogni
bene. Perché “il modo migliore di raggiungere la verità, è
di andare fino in fondo al vero, qualunque sia il rischio che si
corre” [2].
Sono parole che, pur proferite tanti anni fa, ancora oggi
risuonano attuali, forse più ancora in questi tempi che non in
quelli, perché è evidente che dinanzi ai nostri occhi c'è una
cristianità (e ancor più una cattolicità) da difendere e
ricostruire, dal momento che contro di essa si è scatenata
un'impressionante opera di demolizione (operata persino da quella
chiesa deviata che pare abbia preso il sopravvento sulla Tradizione e
sul vero insegnamento di Cristo) che sembra ormai giunta al suo
epilogo...è solo questione di tempo.
Molti Santi e grandi uomini di Chiesa hanno sempre evidenziato la
necessità di cambiare prima se stessi per cambiare il mondo, sicché
l'opera per salvaguardare la Fede e ricostruire tutto ciò che è
stato e viene distrutto da un modernismo e da un nichilismo sempre
più aggressivi, deve partire dal proprio io: ciascuno ha il serio e
gravoso compito di migliorare se stesso, di essere un cattolico nei
fatti e non a parole, per poter ambire al cambiamento e alla
costruzione di un climax realmente cattolico.
Qui iniziano i problemi perché non c'è nulla di più faticoso
che la disputa col proprio io e le sue voglie, le sue ambizioni
troppo spesso arroganti, i suoi progetti altrettanto spesso
egoistici, la concupiscenza e la tendenza al male che risiede in ogni
persona e che come una zavorra la trascina verso il basso.
Quanta fatica!... Ma si tratta di fatica necessaria, fatica dovuta, fatica
benedetta, perché la vita presenta sempre un cammino bivalente e può
sfociare tanto “al lago di fango”, che “all'alba
divina”: la salvezza (perché di questo si tratta: la salvezza
della propria anima...che altro?) “è sempre nella linea del
rischio accettato” [3].
In ciò emerge tutta la drammaticità ma allo stesso tempo anche
la grandezza della nostra libertà: sta a noi la scelta, la scelta
della Verità. E non potremo accampare scuse quando arriverà il
giorno del giudizio della nostra anima: la responsabilità è solo
nostra.
Bernanos sottolineava che alla Verità e alla libertà si affianca
anche la speranza: “La speranza è una virtù eroica...la
speranza è un rischio da correre. È il rischio dei rischi...è la
più grande vittoria che un uomo possa riportare sulla propria anima”
[4].
Verità, libertà, speranza sono raggiunte a prezzo di un rischio
totale: così completo che abbraccia tutta la vita e che può essere
colto nella sua formulazione più profonda nell'espressione “Io
ogni notte muoio, per resuscitare ogni mattina”[5]
“Via via che divento vecchio – spiegava Bernanos
- capisco sempre meglio che la mia modesta vocazione è
proprio una vocazione, vocatus! Il buon Dio deve chiamarmi ogni volta
che ha bisogno di me (e molte volte con un tono comminatorio!).
Allora mi alzo, brontolando, e appena finita la mia parte, me ne
torno alla vita ordinaria, che non è più l'infanzia – ahimè! Ho
perso l'infanzia e non potrei più riguadagnarla se non con la
santità – ma almeno al clima dell'infanzia, a quell'ozio
meravigliato dell'infanzia” [6].
Sicché in quella luce del mattino in cui la vita sembra
rinfrescarsi e rinnovarsi, Bernanos indica la sorgente a cui egli
doveva accedere per assumere il suo rischio: l'infanzia.
Come non ricordare le parole di Gesù quando chiamò a sé un
bambino, lo pose in mezzo ai presenti e disse: "In verità
vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non
entrerete nel regno dei cieli".[7]
Ebbene, restare fedele a quel bambino che fu (“Che
importanza ha la mia vita! Voglio solo rimanere sino alla fine fedele
al ragazzo che io fui”[8]) è la parola d'ordine dello
scrittore francese per la lotta contro ogni forma di male. Rimanere
fedele a quel bambino che fu... oggi, invece, si rivendica di essere
cattolici adulti, e i risultati, purtroppo, sono ben visibili...
La verità è che non ci deve essere più posto per la mediocrità
(“La mediocrità, nella Chiesa, non vi cerca altro che una
solida assicurazione contro i rischi del divino” [9]),
non ci deve essere più posto per l'impostura e l'ipocrisia che così
facilmente e comodamente trovano ospitalità nei più.
E a malincuore ciò va detto anche in relazione a quegli ambienti
che si reputano sani, a quelle associazioni che si dicono cattoliche
ma che, giocando con le parole, fanno dell'ambiguità il loro sistema
di vita; o in quegli ambienti in cui si nascondono anche uomini di
Chiesa e intellettuali lisciati dalla vita come i ciottoli dall'onda,
la cui battaglia contro il disfacimento generale in atto è motivata
più dal sentirsi importanti e dal promuovere se stessi piuttosto che
instaurare veri rapporti di sincerità e trasparenza.
Talvolta sembra di assistere alla ricerca di chi è affaccendato e
preoccupato più che altro dal ritagliarsi un posticino in un habitat
a sè congeniale o rassicurante, la cui presenza possa fungere da
prova inconfutabile per pavoneggiarsi e giustificare i proclami di
chi ha avuto la “forza” e il “coraggio” di schierarsi contro
il mondo alla deriva. Ma quale forza, quale coraggio?
Questi tali non comprendono che la loro piccola società vive e
prospera in un vaso chiuso dove prima o poi l'aria viziata che si è
creata diverrà irrespirabile perché il male che si ritrova in ogni
dove e in ogni momento è anche lì, travestito, camuffato e
mimetizzato. E se qualcuno tenta di rompere o spezzare l'incanto di
questa pace apparente, tutti si allarmano perché “l'ipocrisia
universale è solida”[10]: si è tanto costretti a respirare
ogni giorno il tanfo dell'ipocrisia generale di un mondo che sa solo
mentire e celare, che senza accorgersene non si riesce più a
distinguere il puzzo dal profumo, diventando complici e diffusori
dello schifo che invece si dice di voler combattere.
E allora, lotta a oltranza contro il male, contro l'ipocrisia, la
falsità, senza curarsi dello scandalo dei “ben pensanti”
[11]. Scriveva Bernanos: “Ci si chiede, forse, perché io
scriva queste verità pericolose, col rischio di allontanare da me
delle amicizie che mi sono care. Ebbene, io arrischio queste
amicizie, come tutto il resto!... così come amo rivolgere sulla mia
persona incomprensioni, odi e rancori che potrebbero nuocere agli
altri, e non possono molto su di me. Non aspetto niente da
chicchessia, e non impegno in un tale scontro se non il mio modesto
prestigio, che d'altra parte, disdegno di difendere” [12].
L'incomprensione va messa in preventivo, con la certezza che il
rischio insegna un'altra virtù: il coraggio contro ogni viltà.
“Quando il rischio batte alla nostra porta, si tratta in primo
luogo di tenere duro, poiché sarebbe ancora più pericoloso voltare
la schiena. La prudenza in quel caso è solamente l'alibi dei
vigliacchi” [13].
Perciò “No! Noi non soffriamo invano. Siamo soli a soffrire
perché siamo soli a rischiare. Rischiamo per tutti i vigliacchi che
non rischiano niente. Che Dio abbia pietà di noi!”[14].
(STEFANO ARNOLDI - corsiadeiservi.it - rubrica: Per aspera ad astra)
[1] Figaro, 13 dicembre 1932
[2] Le Chemin de la Croix-des-Ames
[3] B. par lui – meme
[4] La libertè pour quoi faire
[5] Diario delle Carmelitane
[6] Lettera scritta a Dom Gordan 1943
[7] Mt 18,2-3
[8] I grandi cimiteri sotto la luna
[9] Jeanne relapse et sainte
[10] L'impostura
[11] Diario di un Curato di campagna
[12] Le Chemin de la Croix-des-Ames
[13] La libertè pour quoi faire
[14] Ultimi scritti politici