"Aprite l’occhio e ragguardate la perversità della morte che è venuta nel mondo, e singolarmente nel corpo della santa Chiesa. Oimè, scoppi il cuore e l’anima vostra a vedere tante offese di Dio.
Vedete, padre, che ‘l lupo infernale ne porta la creatura, le pecorelle che si pascono nel giardino della santa Chiesa; e non si trova chi si muova a trargliele di bocca.
Li pastori dormono nell’amor proprio di loro medesimi, in una cupidità e immondizia: sono sì ebbri di superbia, che dormono e non si sentono, perché veggano che il diavolo, lupo infernale, se ne porti la vita della Grazia in loro e anco quella de’ sudditi loro. Essi non se ne curano: e tutto n’è cagione la perversità dell’amore proprio.
Oh quanto è pericoloso questo amore nelli prelati e nelli sudditi! S’egli è prelato ed egli ha amore proprio, egli non corregge il difetto de’ suoi sudditi; perocché colui che ama sé per sé, cade in timore servile, e però non riprende.
Che se egli amasse sè per Dio, non temerebbe di timore servile; ma arditamente con virile cuore riprenderebbe li difetti e non tacerebbe né farebbe vista di non vedere.
Di questo amore voglio che siate privato, padre carissimo.
Pregovi che facciate sì che non sia detta a voi quella dura parola con riprensione dalla prima verità, dicendo: «maladetto sia tu che tacesti».
Oimè, non più tacere! Gridate con cento migliaia di lingue. Veggo che, per tacere, il mondo è guasto, la Sposa di Cristo è impallidita, toltogli è il colore, perché gli è succhiato il sangue da dosso, cioè che il sangue di Cristo, che è dato per grazia e non per debito, egli sel furano con la superbia, tollendo l’onore che debbe essere di Dio, e dannolo a loro; e si ruba per simonia, vendendo i doni e le grazie che ci sono dati per grazia col prezzo del sangue del Figliuolo di Dio.
Oimè! ch’io muoio, e non posso morire. Non dormite più in negligenzia; adoperate nel tempo presente ciò che si può. Credo che vi verrà altro tempo che anco potrete più adoperare; ma ora pel tempo presente v’invito a spogliare l’anima vostra d’ogni amore proprio, e vestirla di fame e di virtù reale e vera, a onore di Dio e salute dell’anime.
(SANTA CATERINA DA SIENA - Dalla lettera a un cardinale)