Tutte le parole di Cristo, il suo messaggio, il suo monito rivolto agli Apostoli: «sia il vostro parlare sì, sì; no, no», tutte le parole degli Apostoli a proposito della loro testimonianza e della verità da trasmettere (274), ogni parola della Sacra Scrittura riguardante la verità da conoscere e da trasmettere, tutto questo deve essere reinterpretato secondo le «nuove teorie» del linguaggio. Così la teologia dovrebbe cambiare punti di riferimento ed entrare deliberatamente e coscientemente nell'era del relativismo trascendente.
La Chiesa non potrebbe mai formulare proposizioni certe per definire la fede, perché «essa dovrà tener conto della problematica inerente a tutte le proposizioni in generale», e non si potrà mai concepire ed esprimere con certezza alcuna verità.
Secondo questa nuova filosofia del linguaggio (275), «le proposizioni di fede non sono mai parola di Dio immediata», per questo tale parola mediata è «percepibile e trasmissibile in quanto proposizione umana. Come tali, le proposizioni di fede rientrano nella problematica generale delle proposizioni umane». Infatti «le proposizioni non corrispondono alla realtà»; «le proposizioni sono fraintendibili»; «le proposizioni sono solo relativamente traducibili»; «le proposizioni sono in movimento»; «le proposizioni sono ideologizzabili - anche la proposizione 'Dio esiste' è ideologizzabile». Ecco come Hans Kung espone in cinque punti il suo credo sull'impossibilità di poter mai avere un credo certo. (276)Tali predicati non possono essere celati con altri testi degli stessi autori, testi forse voluminosi, ma sempre nella medesima direzione e molto spesso evasivi. Questi predicati manifestano, infatti, un relativismo assoluto, insediano nella Chiesa un relativismo assoluto; trasmettono una dottrina del linguaggio tale che nessuno si possa mai sentire nella verità, né acquisita a forza di speculazione e di ricerca, né rivelata da Dio.
Il relativismo è lungi dal corrispondere al desiderio naturale di oggettività e ad una percezione oggettiva dei rapporti continui tra gli esseri e le cose. È un predicato così alieno dalla verità quanto lo è il monolitismo concettuale, privo di sfumature e di riferimento eterno; infatti, il monolitismo concettuale vuole imporre ogni volta concetti sprovvisti di ogni reale rapporto di carità con il Principio della Verità e con gli altri esseri; vuole imporre concetti inariditi, senza contenuto di vita, privi di sfumature ed estranei ad ogni speranza vissuta, imporli come verità oggettiva e come principio universale di conoscenza della verità.
Il cristianesimo, cioè il messaggio della persona e dell'insegnamento di Cristo, ha apportato appunto, in seno alla relatività della filosofia e dell'esperienza naturale degli uomini, criteri e punti di riferimento che risolvono in armonia di pace, nell'intendimento, nella memoria e nel cuore, il movimento e l'oscillazione perenni tra soggetto e oggetto, tra oggettività e soggettività.
In tal modo si manifesta il luminoso mistero della Rivelazione, quando è ricevuta non soltanto come concetto nell'intelletto, ma come amore nella volontà.
Negazione dell'Incarnazione. Alterazione della realtà di Cristo.
Gesù Cristo, sin dall'inizio, già prima della sua Passione è stato contestato dagli scribi e dai dottori. È stato condannato, perché apportava con la sua Persona, il messaggio della salvezza degli uomini, essendo il Figlio di Dio e perché aveva dichiarato, dinanzi alla più alta autorità d'Israele, che era il Figlio del Dio Benedetto. Poi è stato contestato in seno alla stessa sua Chiesa da «scribi e dottori», nel corso di tutti i secoli della vita del cristianesimo.
È accaduto di nuovo, nel nostro secolo, che sia penetrata, più o meno consciamente, nell'ambito della Chiesa la negazione della Realtà divina di Cristo e del Mistero della sua Incarnazione. Nel quadro di alcune teologie nella Chiesa e in tutte le confessioni, è particolarmente evidente che questa negazione è il risultato manifesto di un capovolgimento della speranza, del quale abbiamo già parlato. È anche evidente che questa negazione e questo capovolgimento della speranza comportino obbligatoriamente la perdita sempre più considerevole dell'ordine costituzionale di veracità e di carità del linguaggio.
È certamente difficile, per la maggior parte dei fedeli, con il semplice aiuto della riflessione e dell'informazione intellettuale esteriore, discernere, in mezzo alla moltiplicazione di continue messe in discussione di ogni nozione, considerazione, accezione, principio e postulato della Chiesa docente, la via stretta ma regale della logica interna e dell'ordine eterno del verbo. Senza queste nozioni e questi principi fondamentali della Chiesa docente, non ci sarebbe nessuna possibilità né diritto di parlare in teologia, in seno al mondo cristiano.
L'orientamento, infatti, della volontà verso concetti storicisti della speranza, ha provocato una rivolta in profondità contro il verbo della teologia, del pensiero in genere e della vita cristiana, scaturito dalla vera speranza apportata da Cristo.
La verità dell'Incarnazione del Verbo che gli Apostoli hanno ricevuto da Gesù Cristo stesso e trasmesso come deposito alla Chiesa, deposito che la Chiesa ha difeso e conservato, attraverso i secoli della sua vita, questa verità è rigettata da teologi e autori in seno alla Chiesa.
In questo libro (pag. 74) abbiamo già mostrato come Karl Rahner insegni che Dio e l'uomo hanno la medesima essenza. Karl Rahner, nella sua Enciclopedia teologica "Sacramentum mundi", nelle poche pagine del suo articolo sull'Incarnazione, come nelle pagine del suo articolo su Gesù Cristo, non soltanto afferma in più modi questa identità di essenza di Dio e dell'uomo, ma distrugge anche, con un gran numero di proposizioni, sapientemente intricate, tutta la verità della dottrina sull'Incarnazione di Gesù Cristo.
Se il nostro giovane avesse la pazienza di dipanare i diversi sensi, spesso contraddittori, delle esposizioni e delle proposizioni di Rahner, vedrebbe con chiarezza una laboriosa costruzione che cambia radicalmente tutto il fondo dottrinale e l'autentico significato interno della parola e dei predicati che sin dall'inizio costituiscono - con tutto l'arricchimento dei secoli - l'insegnamento della Chiesa.
a) Secondo Rahner occorrerebbe distinguere tre dottrine sull'Incarnazione: la prima è una dottrina del Nuovo Testamento su Gesù; la seconda una dottrina «ecclesiastica»; e la terza una dottrina della «predicazione odierna». (277)
b) Secondo Rahner, «non si nega che all'interno di questa cristologia del Nuovo Testamento sia dato trovare concezioni di fondo diverse, ma che non per questo si eliminano a vicenda, di questa cristologia, a seconda che venga preferito (gnoseologicamente ed ontologicamente) uno schema di ascesa o di discesa». (278)
Ci sarebbe non soltanto una dottrina del Nuovo Testamento su Gesù, una dottrina ecclesiastica e una dottrina della predicazione odierna, ma persino quella, che è accettata come dottrina del Nuovo Testamento, conterrebbe delle «concezioni di fondo» diverse. Questo dovrebbe bastare per capire l'abisso tra il Vangelo e tutte queste considerazioni che si propongono come insegnamento della Chiesa di Cristo.
C'è però, in merito al Vangelo, qualcosa di più, nell'immediato contesto di queste proposizioni dell'esposizione di Karl Rahner, che dice: «La dottrina dei Nuovo Testamento su Gesù è al di là dell'autotestimonianza del Gesù storico».(279)
Questo significa che il Nuovo Testamento non sarebbe un veridico testimone del mistero e dell'insegnamento di Cristo. Tali postulati a proposito del Nuovo Testamento e della Persona di Cristo sono il risultato delle «re interpretazioni» e delle «demitizzazioni» dei testi che la Chiesa ha ricevuto dalle mani degli Apostoli e degli Evangelisti. Questa semplice e limpida espressione: «la Chiesa ha ricevuto dalle mani degli Apostoli e degli Evangelisti i suoi testi sacri» può sembrare antiquata e non scientifica. Il giovane, però, avrà già capito che ci sono due distinte nozioni generali della Scienza, e ciascuna di esse corrisponde ad una diversa posizione, radicalmente diversa, nei confronti della creazione, nei confronti dell'uomo, nei confronti della storia degli uomini e nei confronti dell'intendimento e della memoria dell'uomo.
Quindi, secondo una di queste nozioni, l'espressione: «La Chiesa ha ricevuto dalle mani degli Apostoli i suoi testi sacri» corrisponde ad una verità profondamente storica e scientifica.
A tal punto il giovane si chiederà certamente:
- Quale valore può avere una dottrina del Nuovo Testamento, se questo Documento, il Nuovo Testamento, altera la testimonianza che Gesù Cristo ha reso di se stesso?
- Se si crede che il Nuovo Testamento abbia alterato la testimonianza di Cristo, e poiché è impossibile stabilire onestamente differenze tra l'informazione apportata dalla Tradizione e l'informazione (alterata stando a Rahner) scritta del Nuovo Testamento, come si può essere apologista del Cristo e riferirsi a questo medesimo Nuovo Testamento?
Per Rahner, però, questa domanda del giovane è superata, senza reale risposta, con speculazioni, da lui stesso qualificate con il nome di «cristologia trascendentale».
Dice, infatti, chiaramente, in queste stesse pagine del suo articolo su Gesù Cristo, che la cristologia paolina e giovannea, sebbene impegnativa, è già un'interpretazione, e non può costituire il punto di partenza per una teologia sistematica odierna: «Una cristologia sistematica odierna non può tuttavia prendere il suo naturale punto di partenza in questa comprensione teologica di Gesù Cristo; questo in fondo vale anche per le affermazioni cristologiche della Scrittura più antiche prepaoline».(280)
Secondo Karl Rahner, uno dei punti della dottrina del Nuovo Testamento che va al di là della testimonianza, che il Cristo ha reso di se stesso, è precisamente la preesistenza del Cristo, ossia la preesistenza del Verbo di Dio, prima della nascita di Gesù di Nazareth: «La cristologia odierna, nell'annuncio e nella riflessione teologica, deve in certo modo riprendere - e predicare! - nuovamente quella storia della 'cristologia dell'ascesa' che già nell'ambito del Nuovo Testamento, passando con enorme rapidità dall'esperienza del Gesù storico alle formule di discesa della cristologia di Paolo e Giovanni, si è trasformata in una dottrina dell'incarnazione del Figlio-Logos preesistente».(281)
La dottrina sull'Incarnazione deve dunque essere predicata in modo da rimettere in vigore nella predicazione questa teologia che si può denominare «teologia dell'ascesa», ossia occorre predicare che la Chiesa, arrestandosi e conformandosi all'insegnamento di San Paolo e di San Giovanni, ha trasformato con precipitazione la «cristologia dell'ascesa» nella dottrina dell'Incarnazione del Verbo-Figlio preesistente. Allora il primo dovere della predicazione è denunciare gli errori cristologici di San Paolo e di San Giovanni. Dunque l'ascesa dell'uomo verso Dio, la perfezione dell'uomo costituirebbe, come dice Rahner, «quel che la Chiesa chiama incarnazione» e la discesa del Logos-Figlio nell'umanità di Maria costituirebbe una deformazione, che bisognerebbe rimuovere con la nuova predicazione. Per questo allorquando Rahner parla di unione, è necessario intenderla nel senso di «vicinanza assoluta» tra l'uomo e Dio, senso del tutto differente da quello dell'Incarnazione. È così che Rahner, nel suo articolo su Gesù Cristo, si riferisce alla parte biblica di questo medesimo articolo per rendere esplicita la sua tesi: «A portare alla fede nella preesistenza di Gesù sarebbe stata la dottrina giudeoellenistica sulla sapienza anteriore al mondo, portando così all'affermazione dell'incarnazione». (282)
«Si può contare che titoli di dignità come 'Messia', 'Figlio dell'uomo', 'Signore', forse anche 'il Figlio', siano stati presi soltanto dalla comunità primitiva per caratterizzare la coscienza, e quindi la pretesa, da parte di Gesù, di essere stato mandato, come anche per esprimere la propria fede in lui». (283)
Con tutte queste considerazioni, che danno l'impressione di uno sforzo sovrumano per aggirare il luminoso Mistero dell'Incarnazione del Verbo di Dio nella Vergine Maria, è enunciata, esplicitamente ed implicitamente, la teoria di un uomo Gesù che, nella sua attività per diventare «autonomo», va verso Dio, che a sua volta va incontro all'uomo per autocomunicarsi. E avverrebbe, allora, un incontro, un «punto culminante» di vicinanza assoluta e definitiva.
È questo che si deve predicare, secondo Karl Rahner, sotto il vocabolo d'«Incarnazione di Cristo». Questo Gesù non è un profeta come gli altri. La sua vicinanza con il divino è molto più perfetta, e così è divenuto il «portatore assoluto della salvezza». È questa teoria che, con molto ermetismo speculativo e linguistico, è presentata come capace di essere in armonia con le «formule della cristologia antica», e come la dottrina della Chiesa da doversi predicare.
Per quanto riguarda l'armonia di queste teorie cristologiche, di questa «cristologia dell'ascesa» con «le formule antiche», Rahner non spiega come la si possa concepire, ma dice che occorre tuttavia conservarla «per molti motivi che qui non è necessario illustrare». (284)
Rahner chiede precisamente di «predicare l'Incarnazione in modo tale» che la teoria della «vicinanza assoluta e definitiva» appaia come la dottrina della Chiesa per l'Incarnazione. (285)
Nell'assieme della sua teoria, esposta in tutti i suoi scritti, come anche nei suoi articoli dell'«Enciclopedia teologica», è ignorato e implicitamente confutato il mistero dell'Annunciazione, ossia il mistero dell'Incarnazione. (286)
L'infinità di proposizioni esplicite e implicite, che sfiorano il mistero dell'Incarnazione e se ne discostano diligentemente, per mezzo di speculazioni prive di fondo e di conseguenza, l'infinità di espressioni apersonali, cioè espressioni delle quali è imprecisabile il soggetto ontologico, non possono presentare una dottrina, erronea forse per la Chiesa, ma con almeno la possibilità di una qualche coerenza tra punto di partenza e meta finale; e non possono velare la netta negazione che contengono del mistero dell'Incarnazione.
Per Rahner, l'Incarnazione è in Gesù; non è il concepimento di Gesù Cristo. Questo è detto a più riprese: «La fattualità dell'Incarnazione proprio in Gesù di Nazareth rappresenta un momento della concretezza di questo mistero».(287)
Ossia questa concretezza del mistero dell'Incarnazione comporta molti momenti, e l'Incarnazione in Gesù è uno di questi momenti. In tal modo la fattualità dell'Incarnazione «in Gesù» non sarebbe tutta l'Incarnazione. L'enunciato dell'Incarnazione è suggerito nel quadro di un'evoluzione cristica dell'umanità e del cosmo, cosa che in ogni caso, non ha mai costituito l'insegnamento della Chiesa.
L'attesa della creazione che geme (Rom. 8, 19) non significa che l'Incarnazione sia un evento di «vicinanza» di Dio e dell'uomo, né un evento collettivo a lunga scadenza.
Tutta la creazione attende la redenzione. Essa non segue i tempi successivi dell'evento di un'Incarnazione che deve espletarsi a lunga scadenza.
Rahner, infatti, sintetizzando in un'immagine molto espressiva il fondo della sua teoria, dice nettamente: «Quando l'autocomunicazione di Dio e l'auto-trascendimento (288) dell'uomo giungono, in senso categoriale-storico, alloro punto culminante assoluto ed irreversibile, cioè quando nella spazio-temporalità Dio 'esiste' in modo assoluto ed irreversibile, e l'autotrascendimento dell'uomo giunge così appunto a un simile pieno trasferimento in Dio, si ha quella che cristianamente è detta incarnazione». (289)
Ad agire sono due: Dio che si autocomunica e l'uomo, già esistente, che si autotrascende. Quando Dio diventa esistente nella spazio-temporalità, non in modo relativo, ma in modo assoluto e irreversibile, e quando nel medesimo tempo l'uomo, nel suo sforzo d'autotrascendimento, giunge ad un pieno trasferimento in Dio, allora, secondo Rahner, avviene la realizzazione di quella che cristianamente si chiama l'Incarnazione.
È certo che nella teologia scolastica lo studio dell'uomo Gesù ebbe una vasta importanza. In particolare San Tommaso d'Aquino si è minuziosamente occupato di tutto quel che riguarda la conoscenza, la scienza, la volontà dell'uomo come anche la conoscenza, la scienza, la volontà di Dio, in Gesù Cristo. Qui siamo, però, ben lungi da tali questioni. San Tommaso, infatti, parla della realtà umana di Gesù Cristo, come essendo stata concepita nel seno di una donna, per diretto intervento di Dio. Per questo la teoria di Rahner non può procurarsi un appoggio qualsiasi col riferirsi al fatto che l'umanità di Gesù Cristo sia stata largamente trattata dalla Scolastica.
Attraverso l’ermetismo di Rahner, il giovane avrà capito che San Tommaso parla di Gesù concepito per intervento divino; e che Rahner parla di un Gesù che, concepito naturalmente e nell'agire per suo «desiderio di autonomia», giunge alla «vicinanza assoluta ed irreversibile» di Dio, che desidera la propria «auto comunicazione». Non è qui il caso, dunque, di delicate sfumature e di immagini talvolta ineffabili, attraverso le quali, in alcuni momenti, si vive nell'intimo il mistero dell'Incarnazione, il mistero di un uomo concepito nel seno di una donna per diretto intervento di Dio.
L'insieme dei discorsi di Rahner riguarda il cammino intellettuale e spirituale di un uomo concepito naturalmente, e questo non si può chiamare "incarnazione". Questa teoria, che si voglia o meno, è negazione dell'Incarnazione e alterazione della realtà di Cristo.
L'antropologia è un termine che può avere e ha parecchie accezioni, parecchi punti di partenza. Quanto Rahner dice, rivela una teoria antropologica che conduce direttamente ad una totale storicizzazione di Dio e all'identità di essenze di Dio e dell'uomo. Ed è per questo che Rahner così s'esprime: «Ciò che l'uomo sia, costituisce l'affermazione della totalità della teologia in assoluto». (290)
Alcune considerazioni sulla persona di Cristo evocano certune dottrine occulte in merito all'Incarnazione del Verbo di Dio, in particolare quelle degli antroposofi e dei Rosacroce. Secondo questa dottrina Gesù, grande iniziato, successore dei grandi iniziati, ha accettato che la sua anima abbandoni il corpo nelle acque del Giordano e il Verbo di Dio ha preso il suo posto. Colui che emerse dalle acque del fiume era un'altra persona, Gesù Cristo. (291)
Il professore Hans Kung a più riprese afferma che Gesù ha potuto prendere «coscienza della propria vocazione nel contesto del battesimo - e da quel momento egli si sentì pervaso dallo Spirito». (292) Certamente Kung dice ancor meno degli occultisti, dal momento che non accetta alcuna divinità in Gesù Cristo né prima né dopo il battesimo. Con tutti i suoi scritti Kung conferma, con minore ermetismo di Rahner, la sua dottrina su Gesù Cristo. Secondo questa dottrina, l'Incarnazione e tutto quel che concerne l'Annunciazione e la Natività di Cristo, nei testi del Nuovo Testamento, sono pie leggende dovute ad anonime compilazioni della primitiva comunità cristiana. (293) In Kung, la spiegazione della persona di Cristo è più sociale e psicologica che speculativa. Con il termine «incarnazione», intende la vita e l'insegnamento di Cristo: «In nessun luogo del Nuovo Testamento si parla dell'incarnazione di Dio stesso - Se oggi si vuol parlare senza fraintendimenti anche dell'incarnazione del Figlio di Dio, questa non potrà essere ridotta al punctum mathematicum o mysticum del concepimento o della nascita di Gesù, ma dovrà piuttosto essere estesa all'intero vivere e morire di Gesù». (294)
È così che in seguito nel suo libro "Dio esiste?" esprime con caratteri in rilievo, il suo credo, che confuta il mistero dell'Annunciazione del Credo della Chiesa: «Incarnazione di Dio in Gesù significa che: in tutti i discorsi di Gesù, in tutta la sua predicazione, nell'intero suo comportamento e destino, hanno preso figura umana la Parola e la Volontà di Dio: in tutto il suo parlare ed agire, patire e morire, insomma in tutta la sua persona, Gesù ha annunciato, manifestato, rivelato la Parola e la Volontà di Dio. Egli, nel quale parola e volontà, insegnamento e vita, essere e agire coincidono perfettamente, è corporalmente, è in figura umana Parola, Volontà, Figlio di Dio».(295)
E altrove ha già reso esplicito questo credo: «Nella tendenza della comunità a definirlo innanzitutto 'il Figlio', si deve scorgere come un riverbero, sul volto di Gesù, del Dio da lui proclamato Padre. È agevole, per questa via, spiegare il passaggio all'altro titolo, 'Figlio di Dio', coniato dalla tradizione». (296)
E Kung afferma che in questo senso e certo soltanto in questo senso, «accetta anche il Concilio di Nicea del 325». (297)
Questa accettazione da parte di Kung «anche del Concilio di Nicea» è condizionata da tutta la sua dottrina, secondo il senso della quale afferma che lo avrebbe accettato.
È chiaro che questo significa che bisognerebbe svuotare di ogni senso ontologico le formule del Concilio e sostituirlo con il senso storico-sociologico-psicologico di Kung.
Kung, come molti teologi di oggi, è erede dell'atteggiamento intellettuale e spirituale di Hegel nei confronti del mondo e di Dio. D'altronde testimonia ampiamente ad Hegel la sua riconoscenza, quando dichiara che il suo pensiero l'ha «stimolato ed incoraggiato a riflettere sulla storicità di Dio e sulla storicità di Gesù».(298)
Ma ecco l'immagine che Kung fa di Gesù, immagine che non esprime soltanto una sfrontatezza di cattivo gusto o una sconsiderata fantasia; ma esprime la risultanza interiore di una visione escatologica fondamentale storicista: «Gesù non era sacerdote - egli fu un comune 'laico', guida di un movimento laico - Non era neppure un teologo - Gesù era un paesano, per giunta 'illetterato' - non poteva vantare nessuna cultura teologica - Non diede a intendere di essere un esperto di ogni possibile questione dottrinale, morale, giuridica, legale - Egli fu, se si vuole, un narratore pubblico, uno di quei personaggi che si incontrano ancor oggi sulla piazza principale di Kabul». (299)
Esiste un piccolo libro il cui autore non è noto e, pensiamo, senza alcuna pretesa teologica, intitolato "Mai un uomo ha parlato come quest'uomo". (300) Si nota nelle pagine di questo libro, che la parola di Cristo è venerata per la sua sovrumana grandezza, profondità e vitalità e per la sua origine eterna.
Questo libretto, il cui titolo costituisce già un insegnamento, trasmette una veritiera immagine di Gesù di Nazareth, di Gesù Cristo, del Figlio dell'Uomo, del Figlio di Dio, del Verbo incarnato; esso mostra come e quando la parola di Cristo trasmette la sua vibrazione di vita reale e svela la sua divina verità a coloro che, senza essere dottori né professori di teologia, Lo ricevono secondo la parola di San Giovanni, con semplicità e verità.
Quando non è ricevuto, è respinto con ostilità e talvolta con una mancanza di elementare decenza. Persino un «narratore di Kabul», più di molti dotti, può essere recettivo e sensibile alla grandezza e alla bontà uniche ed inimitabili della parola e degli atti di Cristo.
L'Incarnazione costituisce la più profonda base e nel contempo la chiave di volta del mistero della Redenzione. Perciò l'Incarnazione, per Maria e per lo Spirito Santo, del Verbo di Dio costituisce il fondamento di base di tutta la verità dottrinale che è stata espressa e vissuta intimamente nella Chiesa, in mezzo a tutte le tribolazioni sia morali come intellettuali nelle quali ha dovuto e dovrà vivere il suo Mistero di Redenzione.
Orbene, l'Incarnazione non è una costruzione né la proiezione delle umane considerazioni fatte con amore e pietà.
- Non è il prodotto dell'esaltazione collettiva di una fervente comunità che procede, però, a tentoni per quanto riguarda l'origine della sua verità, della sua propria nascita e della sua propria missione.
- Non è la conclusione volontaria di un'interpretazione di certuni testi o di certune parole trasmesse oralmente, interpretazione sempre riadattata alle varie culture.
- Non è il prodotto di un'interpretazione del Nuovo Testamento e di una predicazione che avrebbe, con il suo continuo adattamento, costruito la storia-leggenda di Cristo, il messaggio di Cristo e lo sviluppo dottrinale.
- Non è il prodotto di una predicazione secondo la quale il Nuovo Testamento e la Tradizione non avrebbero dovuto occuparsi di quel che il Cristo fosse (cristologia ontologica), ma soltanto di quel che il Cristo avesse fatto (cristologia funzionale).
- Non è scaturita da un appassionato desiderio di «liberazione» nel tempo dagli impedimenti e dalle miserie della stirpe di Adamo.
- Non è la mitizzazione poetica di un Eroe amato ed «eterno».
- Non è la personificazione simbolica scaturita da un sentimento di ordine religioso che sarebbe immanente all'uomo.
- Non è il nome di una perfezione dell'uomo che s'innalza per amore, combattimento e sacrificio fino a Dio.
- Non è il prodotto dell'immaginazione o dell'astuzia umana in seno ad un gruppo con uno scopo sociale e politico.
È la più elevata verità rivelata: la verità della salvezza ontologica dell'uomo.
Questa verità fondamentale della realtà dell'Incarnazione costituisce un criterio generale, attraverso il quale tutti gli argomenti, i problemi, i temi concernenti tutta l'economia della Redenzione debbono essere visti e compresi. Così il mistero della Chiesa, la sua origine e la sua realtà costituzionale sono fondati sull'Incarnazione.
Il problema dei rapporti tra Chiesa e mondo, il problema del naturale e del soprannaturale, il problema dell'essenza e del significato della realtà sacramentale, il problema della vocazione dell'uomo e della sua missione nella storia, il problema dei rapporti dell'uomo singolo e dell'umanità con la storia e con l'eternità, tutti i problemi, tanto quelli riguardanti la conoscenza di Dio come quelli riguardanti i mezzi e le vie di salvezza, hanno un comune denominatore: l'Incarnazione del Verbo di Dio per Maria e per lo Spirito Santo.
Se questa verità è confutata e alterata, come d'altronde lo è, sono nel contempo confutate e alterate de facto tutte le altre realtà dell'uomo, della sua storia e dei suoi ultimi fini. Nessun argomento può essere trattato e affrontato indipendentemente dalla nozione fondamentale dell'Incarnazione.
Per questo è impossibile che avvenga un radicale cambiamento dell'enunciato dell'Incarnazione senza che l'assieme dei problemi dottrinali, spirituali e morali, l'assieme della Rivelazione non subisca un'alterazione nel pensiero, nella coscienza e nella volontà.
Avere un criterio fondamentale, un principio con il quale si riflette sulla realtà universale, sulla realtà di ogni uomo, sulle verità rivelate e sulla scienza umana, non offusca le sfumature e le particolarità di ogni caso affrontato attraverso questo criterio generale. Ma la molteplicità di sfumature e di particolarità non altera neanche l'unicità e l'universalità del criterio e del principio. Se questa unicità è differenziata in molteplicità, nessuna percezione e nessun giudizio possono stabilire nell'uomo un ordine di conoscenza e di vita.
Per questo non bisogna mai dimenticare che le più elevate speculazioni sulla Santissima Trinità, per esempio, o la meditazione sul fenomeno globale della storia degli uomini o sull'essenza reale della nozione di sacramento, dipendono logicamente ed inevitabilmente dalla nozione dell'Incarnazione; e soprattutto dal nostro intimo rapporto con questa nozione.
Le radici del mistero della Chiesa affondano direttamente ed ontologicamente nel mistero dell'Incarnazione. È stata sempre una grande illusione credere che si possa seguire un'«indagine», cercare una migliore interpretazione e comprensione dei testi, cercare di stabilire una dottrina a proposito della grazia o della Passione di Cristo o della Morte e Resurrezione di Cristo, indipendentemente dalla nozione dell'Incarnazione o semplicemente lasciandola - talvolta malignamente - nell'ombra.
Gli uomini vivono, amano Dio e i loro simili, senza che tutti abbiano la medesima conoscenza intellettuale del mistero di Dio e della creazione. Questa differenza, però, nel grado di conoscenza intellettuale, non impedisce necessariamente agli uomini di essere in interna armonia con la Verità e la Volontà del Creatore. Se l'uomo, però, coscientemente si sforza di costruire, con le proprie forze e secondo l'inclinazione della propria volontà, spiegazioni dei segreti di Dio, confutando o alterando o ignorando volontariamente quel che gli è stato dato come verità rivelata, si distacca de facto da ogni armonia, e da ogni possibilità di percezione del reale.
Secondo questa legge, l'umanità ha fatto il suo cammino fino ad oggi e la Chiesa è stata costituita, ha ricevuto la Rivelazione, l'ha conservata e l'ha trasmessa intatta attraverso molte attese ed esitazioni, molte sofferenze e molta santa ignoranza.
Questa santa ignoranza, infatti, non impedisce che si riceva, si viva e si trasmetta in atti di vita e in parole di vita la Verità rivelata e ricevuta.
Per quanto sia umanamente permesso raffigurarsi la realtà dei primissimi tempi della Chiesa, l'Incarnazione del Verbo di Dio è stata rivelata pur rimanendo anche un arcano. Arcano non significa sempre una vita segreta e un sapere segreto da svelare soltanto ai rari iniziati. Significa anche, però, che ci sono verità non sempre trasmissibili a tutti, non a causa di un divieto o di un culto del segreto, ma perché sono verità che esigono un grado di liberazione interiore ed una particolare elevazione spirituale per poter essere concepite intellettualmente e quindi espresse tramite il vocabolario della parola esterna.
Quando San Paolo afferma che «udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunciare», (301) non vuol dire con questo che si tratta di un segreto affidato, da custodire ad ogni costo, ma vuol dire che ha udito parole che sono, per se stesse, indicibili e che non è dato all'uomo di poterle pronunciare. In tal modo parla di un mistero, ma non di un segreto. Ogni mistero contiene una realtà celata.
Non si tratta, però, di un segreto che qualcuno deve custodire. Si tratta dell'impossibilità di comunicazione a livello della parola umana. Si possono concepire alcune realtà secondo il verbo interiore, senza che si possano trasmettere con la parola esteriore. La Chiesa ha avuto sin dall'inizio un'esistenza limpida, ma essa è in sé un mistero come la vita è un mistero.
In tal modo il Cristo è stato ricevuto immediatamente ma il suo mistero è stato approfondito intellettualmente, più o meno lentamente a seconda delle persone, pur essendo interamente ricevuto dai medesimi uomini. È d'altronde uno dei dati che permette che la Chiesa di Cristo, malgrado le sue umane lacune, sia l'unica detentrice dei misteri della Verità eterna.
È in seno alla vita profonda della Chiesa, per mezzo della Santissima Vergine e degli Apostoli, che Cristo ha depositato le grandi verità sul mistero della sua persona e della sua opera di Redentore. La predicazione per mezzo di persone dallo spirito totalmente rinnovato, è scaturita da questo eterno deposito di verità rivelata e di carità, come una luce e come una forza. E, mentre la predicazione si adattava certamente ai linguaggi e ai livelli dei popoli, subendo talvolta perturbazioni, le grandi verità del sacro deposito si trasmettevano immutabili, illuminavano le menti e venivano a poco a poco formulate e definite, secondo le provvidenziali necessità, nell'ambito della vasta ed effervescente vita della Chiesa.
Tale è l'immagine, veramente troppo sintetica, ma reale della trasmissione della Rivelazione su Dio, sul Figlio di Dio, sulla salvezza e sulla missione eterna dell'uomo; l'immagine del cammino dottrinale. Cristo, infatti, come l'abbiamo già detto all'inizio di questo libro (pag. 34), non ha affidato la trasmissione del sacro deposito alla relatività e all'instabilità dell'uomo storico.
La predicazione si è estesa a tanti differenti popoli; mentre la Rivelazione, il deposito di Cristo, attraverso la Santissima Vergine e gli Apostoli, è stata trasmessa nelle profondità dell'anima e della vita della Chiesa. Non è la predicazione che ha condizionato la trasmissione della Rivelazione. È la presenza del deposito, irradiante la sua originaria luce di verità divina immutabile, che ha conservato immutato e nel contempo vivente e attivo, nonostante tutte le fluttuazioni e tribolazioni esterne, e tutti i temporanei adattamenti kerigmatici, il mistero trascendente della Chiesa.