Getsemani. Riflessioni sul Movimento Teologico Contemporaneo - quarta parte

2 - P. Karl Rahner

La concezione del soprannaturale necessariamente legato alla natura umana è chiaramente proposta da Karl Rahner sin dagli anni '30. Nella sua tesi «Geist im Welt» presenta nettamente questa concezione del soprannaturale non-gratuito. Dopo venti anni, le proposizioni sono state ampiamente sviluppate. A volte si può credere che Rahner rigetti le tesi del P. de Lubac, ma subito ci si rende conto che in realtà K. Rahner segue lo stesso pensiero ed anzi lo supera.

Le stesse idee ritornano in molti trattati. È necessario subito notare che negli scritti di Karl Rahner da un lato il principio dialettica hegeliano è flagrante - come l'attesta lo stesso Hans Kung (53), discepolo in contestato di Karl Rahner (54) - e dall'altro lo stesso procedimento rende molto fluido ed inafferrabile il cardine del pensiero.

Ci si trova, infatti, dinanzi ad un'antitesi che egli cerca di risolvere optando per l'uno dei termini, cosa che annulla automaticamente il procedimento dialettico. Questa osservazione è fatta qui unicamente per spiegare le contraddizioni della sua posizione nei confronti delle tesi del P. de Lubac. Ed anche per aiutare a cogliere il suo fondamentale accordo con il P. de Lubac.

Negli scritti sulla Natura e la Grazia, Karl Rahner scrive: «Questa ordinazione intima dell'uomo alla grazia è tale un costitutivo della sua 'natura', che questa non si potrebbe pensare senza di quella, cioè come natura pura? Sarebbe irrealizzabile il concetto di natura pura? Questo è il punto in cui dobbiamo apertamente rigettare la concezione ritenuta come quella fatta propria dalla 'nouvelle théologie'

La 'Humani Generis'... dà a tal proposito un insegnamento inequivocabile». (55). «Dalla più intima essenza della grazia segue piuttosto l'impossibilità di una disposizione alla grazia, che appartenga alla natura dell'uomo, o segue che tale disposizione, nel caso che sia necessaria, appartenga già a questo stesso ordine del soprannaturale. Non segue però che essa come naturale lascerebbe sussistere la gratuità della grazia». (56)

«Si può tranquillamente accettare il concetto di 'potentia oboedientialis' rifiutato da de Lubac. La natura spirituale deve essere tale da avere un'apertura a questo esistenziale soprannaturale, senza però esigerlo da sé incondizionatamente. Non si penserà questa apertura solo come una non contraddizione, ma come una ordinazione intima, purché non sia incondizionata». (57)

Karl Rahner qui afferma che: primo, occorre rigettare la concezione della «nuova teologia», per la quale la natura dell'uomo comporta l'ordinazione alla grazia; secondo, l'essenza della grazia è incompatibile con una disposizione della natura umana alla grazia, e se una tale disposizione alla grazia si confermasse necessaria, apparterrebbe all'ordine soprannaturale ed in questo caso la grazia non sarebbe gratuita.

In seguito Rahner non solo accetta ciò che qui rifiuta, ma lo propone con accezioni molto più forti. Quando per esempio dice che si può accettare tranquillamente il concetto di «potentia oboedientialis» che de Lubac rifiuta, dà l'impressione di voler presentare un concetto più tradizionale.

Già nello stesso paragrafo Rahner dice che l'apertura della natura all'«esistenziale soprannaturale» è un'«ordinazione intima». Ed aggiunge - cosa che confonde nuovamente la chiarezza del pensiero - «purché non sia incondizionata». In questa dichiarazione c'è una contraddizione fondamentale, perché se l'apertura a questo esistenziale soprannaturale è un'ordinazione intima, questa apertura è universale e costituisce una condizione fondamentale della natura umana; dire che questa apertura al soprannaturale, che è già un'ordinazione intima, non è incondizionata, non aggiunge nessuna chiarezza.

Rahner però, continua e con formule molto precise prova che il suo pensiero non solo è quello della «nuova teologia», ma che lo supera. Riferendosi ad un articolo che espone i principi della «nuova teologia», Karl Rahner dice che parlare di «un dinamismo illimitato» della natura che «include obiettivamente nella sua essenza il soprannaturale come fine intrinseco necessario», non costituisce una «minaccia immediata alla soprannaturalità e gratuità di questo fine». (58)

E precisamente dichiara: «La capacità per il Dio dell'amore personale, che dona se stesso, è l'esistenziale centrale e permanente dell'uomo nella sua realtà concreta». Questo è «l'esistenziale soprannaturale, permanente, previamente ordinato alla grazia». (59)

Ci si può chiedere: Se la natura include obiettivamente nella sua essenza il soprannaturale come fine intrinseco necessario, se «la capacità per Dio» è l'esistenziale centrale e permanente dell'uomo, e se questo esistenziale soprannaturale permanente è previamente ordinato alla grazia, se tutto è così, come si può sopra affermare che dall'essenza intima della grazia deriva l'impossibilità per la natura dell'uomo di portare una disposizione alla grazia? Ed ancor più: se questa disposizione è necessaria, essa appartiene allora già all'ordine soprannaturale, ed anche questa disposizione annulla il concetto della gratuità della grazia?

Per Rahner il nucleo più intimo della natura dell'uomo è «l'esistenziale soprannaturale», cioè la capacità di ricevere la grazia. (60) L'uomo, sempre secondo Rahner, non può avere vera esperienza di se stesso che in quanto ordinato interiormente ed in modo assoluto al soprannaturale: «L'uomo può fare esperienza su sé stesso solo nell'ambito dell'amorosa volontà soprannaturale di Dio, non può presentare la natura in uno 'stato chimicamente puro', separata dal suo esistenziale soprannaturale. La natura in questo senso permane un concetto astratto derivato. Però questo concetto è necessario e obiettivamente fondato, se si vuol prendere coscienza riflessa della gratuità della grazia, nonostante che l'uomo sia ad essa ordinato interiormente e in modo assoluto».(61)

Sullo stesso argomento ritorna con un vocabolario sempre più esplicito e con espressioni che, se si accettassero come postulati, condurrebbero ad un capovolgimento di tutti i fondamenti della teologia: «L'uomo vive sempre consapevolmente, anche se egli non lo 'sa' e non lo crede, ossia se non lo può rendere oggetto particolare del suo sapere mediante riflessione introversa, dinanzi al Dio Trino della vita eterna. Questo è l'ineffabile, ma reale obiettivo della dinamica di tutta la vita spirituale e morale nell'ambito spirituale dell'esistenza, fondato effettivamente da Dio, vale a dire innalzato soprannaturalmente». (62)

«La predicazione è l'esplicitazione e il risveglio di ciò che c'è nel profondo dell'essere umano, non di natura, bensì di grazia. Una grazia che avvolge l'uomo, anche il peccatore e l'infedele, come ambito inevitabile della sua esistenza». (63)

«La natura effettiva non è mai una 'pura' natura, bensì una natura nell'ordine soprannaturale, dal quale l'uomo (anche come incredulo e peccatore) non può uscire». (64)

È certo, e nessuno potrebbe negarlo sinceramente, - neppure Karl Rahner - che un gran numero dei suoi testi, delle sue espressioni e delle sue definizioni permettono un qualunque orientamento del pensiero. In seno, però, a questa polivalenza di espressioni e di postulati appare chiaramente un'antropologia fondamentale che non soltanto concorda con il pensiero del P. de Lubac, ma lo supera in modo da trasformare nella coscienza degli adepti della nuova teologia, articoli di fede come per esempio quelli dell'Incarnazione e dell'Immacolata Concezione. Dove, infatti, può condurre il pensiero teologico o la meditazione spirituale, l'affermazione che: «Lo spirito dell'uomo non è possibile in sostanza senza questa trascendenza che è suo compimento assoluto, cioè la grazia» (65)? Quale significato può avere il fatto di dire più oltre, che «questo compimento resta gratuito»? L'affermazione che lo spirito dell'uomo non esiste senza la grazia del compimento assoluto è il fondamento dell'insegnamento di questo testo.

Come comprendere la proposizione secondo cui: «Si può addirittura tentare di vedere la unio hypostatica nella linea di questo perfezionamento assoluto di ciò che è l'uomo» (66)? Non si può comprenderla altrimenti da ciò che essa dice; dire infatti che occorre vedere l'unione ipostatica nella linea di questo perfezionamento è dire che l'unione ipostatica è il perfezionamento dell'uomo. La sfumatura dell'espressione «vedere nella linea del perfezionamento» è un mitigare linguistico della cruda affermazione che il perfezionamento dell'uomo realizza l'unione ipostatica.

Rahner dichiara in tutti i modi che l'essenza in Dio e in noi è la stessa: «Quando il Logos si fa uomo ... questo uomo in quanto uomo è precisamente la automanifestazione di Dio nella sua auto-espressione»; - «il 'cosa' infatti è uguale in noi e in lui; noi lo chiamiamo 'natura umana'».(67)

Ora è chiaro che Dio e l'uomo hanno la stessa essenza, e che noi, secondo Karl Rahner, la chiamiamo semplicemente «natura umana». Certo non è concesso all'uomo di percepire, di circoscrivere e di approfondire analiticamente e sinteticamente il mistero dell'essenza di Dio, neanche il mistero dell'essenza umana in sé e in rapporto all'essenza di Dio. La questione nella sua profonda semplicità apre una via interminabile di meditazione e allo stesso tempo di adorazione del Creatore. Quando, però, si agisce, quando si pensa e quando ci si esprime in modo da porre postulati come quello dell'identità dell'essenza di Dio e dell'uomo, che capovolgono la dottrina sorta dalla Rivelazione, non seguiamo il filone della verità, ma quello dell'errore.

Il problema del rapporto dell'essenza dell'uomo con l'essenza di Dio è il più grande problema che l'uomo possa porre a proposito di Dio: esso è il problema dell'alterità. Molti servi di Dio nel loro lungo insegnamento hanno capito, nel passato ed oggi, come di fronte a tali cose, a tali problemi che sorgono nella mente e nel cuore, occorra divenire piccoli, molto piccoli. Certo, a parte il mistero trinitario, e tutto ciò che l'accompagna, la realtà più difficile da comprendere è come esistiamo al di fuori di Dio; è questo il problema dell'alterità. Da qui nasce la questione: come si può concepire accanto alla libertà di Dio, la nostra libertà?

Possiamo dimostrare negativamente che non vi è nessuna contraddizione tra queste due libertà. Tuttavia rimane un mistero. Probabilmente l'affermazione di Rahner sull'identità dell'essenza di Dio e dell'uomo è il frutto di speculazioni su questo immenso mistero.

Ciò viene qui detto perché le affermazioni di Rahner a proposito dell'Incarnazione e dell'Unione Ipostatica non lasciano dubbio che se non si può accusarlo di panteismo, si può però, definire il suo pensiero e la sua dottrina come «panantropista» ed in questa espressione si possono comprendere tante cose! Per Karl Rahner l'umanità di Cristo interessa la teologia non già come una realtà unita a Dio, ma come essendo essa stessa la realtà del Logos: infatti, dice chiaramente, l'umanità di Cristo non è unita al Logos, ma è la realtà stessa del Logos. (68) E nella sua interminabile acrobazia linguistica emette le definizioni più improbabili e contraddittorie, ma senza insegnare mai chiaramente la dottrina della Chiesa sull'Incarnazione o sulla Creazione. Citiamo per esempio qualche proposizione sconcertante: «Si potrebbe definire l'uomo come ciò che sorge allorché l'auto-espressione di Dio, la sua Parola, viene lanciata per amore nel vuoto del nulla senza Dio… Se Dio vuol essere non-Dio, sorge l'uomo, proprio lui e null'altro, potremmo dire». (69)

«Di Dio che noi professiamo in Cristo bisogna dire che egli è precisamente dove noi siamo e solo lì lo possiamo trovare». (70)

Ed ecco come Rahner, con termini più precisi, parla dell'unione ipostatica: «Il compito imposto alla teologia dalla formula di Calcedonia e da essa non ancora assolto, è proprio quello di spiegare, senza evidentemente eliminare il mistero, perché e in qual modo chi (71) si spoglia di sé non solo rimane ciò che era, ma per di più, confermato definitivamente e perfettamente nel suo stato, diventa nel senso più radicale (72) quel che è: una realtà umana.

«Ciò però è possibile solo se si dimostrasse come la tendenza ad annientarsi (73) consegnandosi al Dio assoluto, in senso antologico e non puramente morale, è uno dei costitutivi più fondamentali dell'essenza umana. Perciò l'attuazione suprema, indebita e realizzata una volta sola, di questa potenza obbedienziale, che non è una determinazione puramente negativa, né una non-repugnanza meramente formale, rende l'essere, che si è così annientato, uomo nel senso più radicale e l'unisce proprio per tale via al Logos. Solo nell'unio hypostatica si realizza in sommo grado e si rende pienamente cosciente che questo spogliamento di sé può essere un dato dell'autocoscienza umana. Infatti, a questa (autocoscienza umana) spetta il possedere questa disponibilità all'annientamento di sé, che si attua in sommo grado nella unio pypostatica». (74)

Tale brano, scelto fra tanti altri dello stesso tenore si riferisce chiaramente al testo conosciuto dell'Epistola ai Filippesi e alla dottrina sull'unione ipostatica per poter parlare del mistero della Persona del Redentore.

Secondo Rahner, colui che si è spogliato di sé e che, confermato, diventa in un senso più radicale ciò che è, è una realtà umana, è un uomo. Egli afferma anche che la tendenza ad annientarsi per abbandonarsi al Dio assoluto è un costitutivo dell'essenza umana. Ed ancora dice che nell'attuazione suprema di un tale annientamento, l'essere, l'uomo nel senso più radicale, è unito proprio per tale via dell'annientamento al Logos. E precisa che tale disponibilità all'annientamento di sé, che si attua in sommo grado nell'unione ipostatica, appartiene alla coscienza umana.

Si possono fare molteplici meditazioni e considerazioni assennate. Ma è impossibile ad una coscienza retta non notare due punti fondamentali: da un lato, bisogna sapere che questo brano dell'Epistola ai Filippesi al quale Rahner si riferisce, non permette tale genere di prestidigitazione di parole. Colui che si è spogliato («***») si è spogliato, essendo in forma di Dio (nella condizione di Dio), per aggiungersi la natura umana; si è spogliato della gloria per prendere la forma di schiavo. Questo nella sua semplicità è il significato delle parole di San Paolo. Che poi sia stato San Paolo a comporle o che sia stato un inno utilizzato da San Paolo, questo non cambia nulla nel significato del testo. Ora, nel testo citato di Karl Rahner, è l'uomo che si spoglia per offrirsi a Dio.

Da un altro lato, bisogna notare che questo spogliamento non riguarda l'essenza propria di colui che si spoglia, come è detto nel testo citato prima (si spoglia di sé). San Paolo scrive: «si spoglia» e non dice «di sé». In più questo spogliamento non è un semplice dato della coscienza; è molto importante sapere ciò, perché non è nella coscienza umana che si realizzò l'unione ipostatica. Secondo il testo dell'autore, l'unione ipostatica sarebbe il risultato della perfezione nella vita interiore di un uomo. Ma la realtà è il contrario: l'Incarnazione e l'Unione Ipostatica in Cristo Gesù hanno dato all'uomo la perfezione, perché altrimenti l'unione ipostatica sarebbe un avvenimento che è avvenuto «nella e per la coscienza umana». Ed è proprio questo che afferma Rahner dicendo più oltre: «L'immediata ed effettiva visione di Dio null'altro è fuorché l'originaria consapevolezza, non oggettiva, di essere il Figlio di Dio; tale consapevolezza si dà per il solo fatto che essa è l'unione ipostatica» (75).

Non c'è dubbio che Rahner qui altera radicalmente il pensiero e la fede della Chiesa a proposito del mistero dell'incarnazione del Verbo di Dio in Gesù Cristo come è espresso nel Vangelo e dalla Tradizione: «Se l'essenza dell'uomo in generale viene compresa, in questo senso ontologicoesistenziale, come l'aperta ... trascendenza all'essere assoluto di Dio, allora l'incarnazione può apparire come l'adempimento assolutamente sublime (anche se completamente libero, indebito ed unico) di ciò che 'uomo' in generale significa». (76) 

Questo modo di vedere e di presentare il cristianesimo ha prodotto grandi conseguenze e ripercussioni nella formazione del clima teologico attuale. Non si può comprendere fino a che punto questo clima, le idee e gli atteggiamenti nei confronti di Dio e della Chiesa, nei confronti del principio della verità eterna, siano legati a queste idee e speculazioni che hanno sconvolto la vita e la fede nella Chiesa. Non ci si meraviglia oggi, di ascoltare come insegnamento che l'incarnazione del Verbo si realizza a poco a poco nella vita di Cristo, e che nessun momento della sua vita realizza la pienezza della sua libertà; si realizza al termine della sua vita.

A questo conducono le dottrine liberamente professate ed insegnate le quali alterano l'oggettività dell'insegnamento rivelato e vogliono strappare con la forza dell'intendimento soggettivo i segreti supremi di Dio circa la creazione, la grazia e la salvezza. E si può riportare qui una proposizione dello stesso Karl Rahner che illustra l'importanza del modo errato di affrontare la questione della grazia e del soprannaturale: «Una soddisfacente definizione della grazia, se non vuole fatalmente cadere nel vuoto verbalismo, nella mitologia, nell'affermazione gratuita, potrà solamente partire dal soggetto, dalla sua trascendentalità e dalla sua esperienza di un orientamento necessario verso la realtà della verità assoluta e dell'amore che ha acquistato validità assoluta». (77)

Ancora una volta Rahner conclude che la grazia è il compimento della nostra essenza. Partendo da una visione delle cose che, si voglia o no, rifiuta 'de facto' la vera gratuità dell'ordine soprannaturale, arriva a mettere Cristo e Dio nelle cose: «Dio e la grazia di Cristo sono in tutto, quale segreta essenza di ogni realtà». (78)

Di conseguenza basta fare riferimento al compimento dell'essenza umana per accettare il Figlio dell'uomo, il Cristo, perché in lui Dio ha assunto l'uomo: «Chi perciò (pure ancora lontano da ogni rivelazione esplicitamente formulata in forma verbale) accetta la sua esistenza, quindi la sua umanità ... costui, pur non sapendolo, dice di sì a Cristo ... Chi accetta completamente il suo essere-uomo ... ha accettato il Figlio dell'uomo, poiché in esso Dio ha accettato l'uomo». (79)

Ora bisognerebbe poter comprendere cosa significhi esattamente «accettare completamente il suo essere-uomo»; lo stesso Rahner dice che questa accettazione è «indicibilmente difficile e resta oscuro quando lo facciamo realmente».(80)In ogni modo, però, si comprende molto bene come da tutto questo derivi, sottilmente forse ma nettamente, l'inutilità dell'atto di fede e così un dato fondamentale è distrutto. 

L'atto di fede diviene inutile perché nella mia essenza c'è Dio; perché ogni azione è Dio che la fa; l'atto di fede presuppone un altro rapporto tra l'uomo e Dio, tra la creatura e il Creatore. Se accetto il Cristo per il semplice fatto «d'accettare la mia essenza», l'atto di fede è un non-senso.

Ecco dove si arriva se si parte da un concetto riguardante un grande mistero, come il mistero del soprannaturale, artificialmente presentato come facente parte della dottrina della Chiesa. Tutti gli argomenti sono stati sfiorati. Gli uni dopo gli altri tutti i principi, tutti i criteri e tutti i fondamenti della fede sono stati messi in questione e si sfaldano. Certo non è giusto dire che Rahner stesso abbia tratto tutte queste conseguenze. È giusto però dire che, seguendo il filone che partiva da alcuni concetti erronei circa il soprannaturale, l'essenza dell'uomo e di Dio, questa alterazione generalizzata ha potuto verificarsi nelle coscienze. D'altra parte, non si può sfuggire totalmente alle conseguenze di un movimento iniziale provocato da sé stesso. Basta per esempio vedere come Karl Rahner ha considerato l'Immacolata Concezione negli anni '50 e come sia stato portato a parlarne più tardi.

Nel 1953 cita la definizione di Pio IX professando la sua infallibilità. (81) In seguito parla lungamente del ruolo di Maria nella salvezza e del fine comune di noi tutti e della Santissima Vergine: la beatitudine. Riconosce che la Santissima Vergine fu preservata dalla macchia del peccato originale che ogni uomo porta venendo al mondo. Questa accettazione certamente è avvolta da una moltitudine di considerazioni riguardante la sorte comune degli uomini e ciò con sfumature incerte e a volte molto contraddittorie, cosa che ne attenua il carattere di certezza dottrinale. In ogni modo, però, sembra ammettere in questi testi la dottrina del peccato originale e la preservazione della Santissima Vergine dalla macchia del peccato originale.

Ora nelle sue «Meditazioni teologiche su Maria»(82) scrive: «Il dogma (dell'Immacolata Concezione) non significa in nessun modo che la nascita di un essere umano sia accompagnata da qualche cosa di contaminante, da una macchia, e che per evitarla, abbia perciò dovuto avere un privilegio. - L'immacolata concezione della Santa Vergine consiste dunque semplicemente nel possesso dall'inizio della sua esistenza della vita di grazia divina, che l'è stata donata. - Fin dall'inizio della sua esistenza, Maria fu avvolta dall'amore redentivo e santificante di Dio. Questo è, in tutta la sua semplicità, il contenuto della dottrina che Pio IX nell'anno 1854, ha solennemente definita come verità della fede cattolica». (83)

Tuttavia la definizione del dogma nell'«Ineffabilis Deus» dice a più riprese nettamente che la Santissima Vergine fu preservata da ogni macchia del peccato originale. Ecco il testo della Definizione: «Dichiariamo, pronunciamo e definiamo che la dottrina, che sostiene che la beata Vergine Maria è stata, nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un favore peculiare di Dio onnipotente, in vista dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore del genere umano, preservata intatta da ogni sozzura del peccato originale, è una dottrina rivelata da Dio e così essa deve essere creduta fermamente e costantemente da tutti i fedeli». (84)

Come dunque dobbiamo oggi capire, prescindendo dalla definizione «Ineffabilis Deus», la nozione del «peccato originale» di cui parlano i testi del Vaticano II, come per esempio il decreto sull'Apostolato dei laici: «Gli uomini, in conseguenza del peccato originale, spesso sono caduti in moltissimi errori intorno al vero Dio, alla natura dell'uomo ed ai principi della legge morale» (85)?

Come dobbiamo comprendere i testi più espliciti dello stesso Concilio, che chiama la Madre di Dio «la tutta Santa, immune da ogni macchia di peccato, dallo Spirito Santo quasi plasmata e formata come una nuova creatura» e dichiarandola «Immacolata Vergine, preservata immune da ogni macchia di colpa originale» (86)? 

Se l'uomo alla sua nascita non è accompagnato da una macchia - come afferma Rahner -, di quale macchia parla la Bolla di Pio IX? Come si può pretendere che non c'era macchia da evitare e che Maria non aveva bisogno di privilegio?

Non è in queste pagine che si deve parlare della luminosa e profonda realtà dell'Immacolata Concezione. L'unica intenzione è stata quella di illustrare mediante un soggetto che concerne l'insieme della salvezza e l'eterna verità, la contraddizione e gli errori fondamentali ai quali si giunge a partire di un concetto iniziale errato e da un atteggiamento intellettuale assai temerario verso le cose di Dio.

Se attraverso i dati della Rivelazione, conservati dal Magistero, nonostante tutte le vicissitudini umane, con semplicità e sobrietà, si esamina pazientemente l'orizzonte attuale della teologia, si vede come il filone iniziale conduca fino alla dottrina del «cristiano anonimo», alla dottrina della «morte di Dio», della «secolarizzazione», della «demitizzazione», della «liberazione» e tante altre correnti sotto una molteplicità di vocaboli, spesso effimeri.