Le origini del Liberalismo

«Se voi non leggete, sarete prima o poi dei traditori, perché non avrete compreso la radice del male!».
Era con queste parole forti che uno dei miei collaboratori raccomandava un giorno (1) ai seminaristi di Écône la lettura di buone opere sul liberalismo. Non si può, in effetti, né comprendere la crisi attuale della Chiesa, né conoscere il vero volto dei personaggi della Roma attuale, né di conseguenza comprendere l’atteggiamento da tenere nei confronti degli avvenimenti, se non si ricercano le cause, se non si risale il corso storico, se non si scopre la primitiva fonte di questo liberalismo condannato dai Papi dei due ultimi secoli.

La nostra luce: la voce dei Papi
Noi partiremo dunque dalle origini, come fanno i Sovrani Pontefici quando denunciano gli sconvolgimenti in corso. Ebbene, quando pongono in stato d’accusa il liberalismo, i papi vedono più lontano nel passato, e tutti, da Pio VI a Benedetto XV, riconducono la crisi alla lotta ingaggiata contro la Chiesa nel XVI secolo dal protestantesimo, e al naturalismo di cui questa eresia è stata la causa e la principale propagatrice.

Il Rinascimento e il naturalismo
Il naturalismo si annida originariamente nel Rinascimento che, nel suo sforzo di recuperare le ricchezze delle culture pagane antiche, della cultura e dell’arte greche in particolare, ha finito per magnificare in maniera esagerata l’uomo, la natura, le forze naturali.
Esaltando la bontà e la potenza della natura, si sviliva e si faceva scomparire dallo spirito degli uomini la necessità della Grazia, la destinazione dell’umanità all’ordine sovrannaturale e la luce recata dalla Rivelazione. […] 

Il protestantesimo e il naturalismo
Può sembrare strano e paradossale tacciare il protestantesimo di naturalismo.
Non c’è nulla in Lutero di questa esaltazione della bontà intrinseca della natura, giacché, secondo lui, la natura è irrimediabilmente decaduta e la concupiscenza invincibile.
Tuttavia, lo sguardo eccessivamente nichilista che il protestante appunta su se stesso approda ad un naturalismo pratico: a forza di sminuire la natura e di esaltare la forza della sola fede, si relegano la grazia divina e l’ordine sovrannaturale nella sfera delle astrazioni.
Per i protestanti la grazia non opera un autentico rinnovamento interiore: il battesimo non è la restituzione di uno stato sovrannaturale abituale, è soltanto un atto di fede in Gesù Cristo che giustifica e salva.
La natura non viene restaurata dalla grazia, rimane intrinsecamente corrotta, e la fede ottiene da Dio soltanto che egli getti sui nostri peccati il pudico mantello di Noè.
Quindi, la forma sovrannaturale che il battesimo aveva aggiunto alla natura radicandosi su di essa, tutte le virtù infuse e i doni dello Spirito Santo sono ridotti a niente, ricondotti come sono a quest’unico atto disperato di fede-fiducia in un Redentore che fa grazia solo per ritrarsi lungi dalla sua creatura, mantenendo sempre un tale colossale abisso tra l’uomo definitivamente miserabile e il Dio trascendente tre volte santo.
Questo pseudosupernaturalismo, come lo chiama padre Garrigou-Lagrange, abbandona infine l’uomo, pur redento, alla sola forza della sue potenzialità naturali, e sprofonda fatalmente nelnaturalismo; dopotutto gli estremi opposti coincidono! Jacques Maritain esprime bene l’esito naturalista del luteranesimo:
«La natura umana non potrà che rifiutare come un vano orpello teologico il manto di una grazia che nulla è per lei, e ricondurre su di sé la sua fede-fiducia, per divenire quella graziosa bestia affrancata il cui infallibile, continuo progresso incanta oggi l’universo» (2).
E questo naturalismo si applicherà in modo particolare all’ordine civile e sociale: ridotta la grazia ad un sentimento di fede fiduciaria, la Redenzione non consiste più che in una religiosità individuale e privata, senza presa sulla vita pubblica.
L’ordine pubblico, economico e politico, è dunque condannato a vivere e a svilupparsi al di fuori di Nostro Signore Gesù Cristo.
Al limite, il protestante cercherà nella sua riuscita economica il criterio della sua giustificazione agli occhi di Dio; è in tal senso che scriverà volentieri sulla porta della sua casa questa frase del Vecchio Testamento: «Rendi onore a Dio dei tuoi beni, dagli primizie di tutti i tuoi raccolti, e allora i tuoi granai saranno abbondantemente colmi e i tuoi tini traboccheranno di vino» (Pro 3, 9 s.).
Jacques Maritain scrive delle belle righe sul materialismo del protestantesimo, che darà vita al liberalismo economico e al capitalismo:
«Dietro gli appelli di Lutero all’Agnello che salva, dietro i suoi slanci di fiducia e la sua fede nel perdono dei peccati, c’è una creatura umana che alza la testa e fa molto bene i suoi affari nel fango in cui è piombata per la colpa di Adamo! Si districherà nel mondo, seguirà la volontà di potenza, l’istinto imperialista, la legge di questo mondo che è il suo mondo. Dio non sarà che un alleato, un potente» (op. cit., pp. 52-53).
Il risultato del protestantesimo sarà che gli uomini si attaccheranno di più ai beni di questo mondo e dimenticheranno i beni eterni.
E se un certo puritanesimo eserciterà una sorveglianza esteriore sulla moralità pubblica, esso non impregnerà i cuori dello spirito autenticamente cristiano che è uno spirito sovrannaturale, che si chiama primato dello spirituale.
Il protestantesimo sarà necessariamente condotto a proclamare l’emancipazione del temporale nei confronti dello spirituale. Ebbene, è proprio questa emancipazione che si ritroverà nel liberalismo.
I Papi ebbero, dunque, davvero ragione nel denunciare in questo naturalismo di ispirazione protestante l’origine del liberalismo che sconvolse la cristianità nel 1789 e nel 1848.
Così Leone XIII: «Queste audaci macchinazioni degli empi, che minacciano all’umano consorzio ogni giorno più gravi rovine e tengono in sollecita trepidazione l’animo di tutti, traggono principio ed origine da quelle velenose dottrine, che sparse nei tempi passati, quasi viziati semi in mezzo ai popoli, diedero a suo tempo frutti sì amari. Ben conoscete, venerabili fratelli, che la guerra implacabile mossa fin dal secolo decimosesto dai novatori contro la cattolica fede, [e che venne sempre crescendo sino ai sì nostri], ha per scopo d’aprire la porta ai ritrovai, e per dir più propriamente, ai deliri della ragione abbandonata a se stessa, tolta via ogni rivelazione e rovesciato ogni ordine soprannaturale» (3).
E più vicino a noi, papa Benedetto XV: «Dopo i tre primi secoli dalle origini della Chiesa, nel corso dei quali il sangue dei cristiani fecondò l’intera terra, si può dire che mai la Chiesa ha corso un tale pericolo come quello che si manifestò alla fine del XVIII secolo. Fu allora, infatti, che una Filosofia in delirio, prolungamento dell’eresia e dell’apostasia degli novatori, acquistò sugli spiriti una potenza universale di seduzione e provocò uno sconvolgimento totale con il proposito determinato di rovinare i fondamenti cristiani della società, non solo in Francia, ma, a poco a poco, in tutte le nazioni» (4).

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1) Don Paul Aulagnier, 17 settembre 1981.
2) Trois Réformateurs, p. 25.
3) Enciclica Quod apostolici, del 28 dicembre 1878.
4) Lettera Anno jam exeunte, del 7 marzo 1917, PIN 486.


(Fonte: Mons. Marcel Lefebvre - Lo hanno detronizzato. Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia conciliare)

Dove andiamo?

Dove andiamo? Quale sarà il termine di tutti gli sconvolgimenti attuali? Non si tratta tanto di guerre, di catastrofi atomiche o ecologiche, ma soprattutto della rivoluzione all’esterno e all’interno della Chiesa, insomma dell’apostasia che conquista popoli interi un tempo cattolici e anche la gerarchia della Chiesa fino al suo vertice.
Roma sembra piombata in un totale ottenebramento, la Roma di sempre è ridotta al silenzio, paralizzata dall’altra Roma, la Roma liberale che la occupa. Le fonti della grazia e della fede divine si inaridiscono e le vene della Chiesa assimilano ovunque in lei il veleno mortale del naturalismo.
È impossibile comprendere questa crisi profonda senza tener conto dell’avvenimento fondamentale di questo secolo: il secondo concilio del Vaticano. I miei sentimenti a suo riguardo sono sufficientemente noti, credo, perché io possa esprimere di primo acchito il nocciolo del mio pensiero: senza rigettare in blocco questo concilio, penso che sia il più grande disastro di questo secolo e di tutti i secoli passati, sin dalla fondazione della Chiesa.
In questo, io non faccio che giudicarlo dai suoi frutti, utilizzando il criterio che ci ha dato Nostro Signore (Mt 7, 16).
E quando si chiede al Cardinale Ratzinger di mostrare alcuni buoni frutti del Concilio, non sa cosa rispondere (1). E mentre io chiedevo un giorno al Cardinale Garrone come un «buon» concilio avesse potuto produrre frutti così cattivi, egli mi rispose: «Non è il Concilio, sono i mezzi di comunicazione sociale!» (2).
È qui che un po’ di riflessione può aiutare il buon senso: se l’epoca postconciliare è dominata dalla rivoluzione nella Chiesa, non è semplicemente perché il Concilio stesso ve l’ha introdotta?
«Il Concilio è il 1789 nella Chiesa», dichiarò il Cardinale Suenens. «Il problema del Concilio fu quello di assimilare i valori di due secoli di cultura liberale», dice il Cardinale Ratzinger. E si spiega:
Pio IX, con il Sillabo, aveva rigettato senza appello il mondo nato dalla Rivoluzione, condannando questa proposizione: «Il Pontefice romano può e deve riconciliarsi e venire a patti con il progresso, con il liberalismo e con la civiltà moderna» (n. 80).
Il Concilio, dice apertamente Joseph Ratzinger, è stato un «Contro-Sillabo», operando questa riconciliazione tra la Chiesa e il liberalismo, in particolar modo con Gaudium et spes, il più lungo documento conciliare. I Papi del XIX secolo, in effetti, non avevano saputo, sembra, discernere quel che c’era di verità cristiana, e dunque di assimilabile da parte della Chiesa, nella Rivoluzione del 1789.
Una tale affermazione è assolutamente drammatica, soprattutto in bocca a rappresentanti del magistero della Chiesa! Cosa fu, difatti, essenzialmente, la Rivoluzione dell’89?
Fu il naturalismo e il soggettivismo del protestantesimo, ridotti a norme giuridiche e imposte ad una società ancora cattolica. Da qui la proclamazione dei diritti dell’uomo senza Dio, da qui l’esaltazione della soggettività di ciascuno a spese della verità oggettiva, da qui l’aver messo sullo stesso piano tutte le «fedi» religiose dinanzi al Diritto, da qui infine l’organizzazione della società senza Dio, al di fuori di Nostro Signore Gesù Cristo. Una sola parola designa questa teoria mostruosa: il LIBERALISMO.

Ahimè, è qui che noi giungiamo al «mistero d’iniquità» (2 Ts 2,7): all’indomani della Rivoluzione, il demonio fece sorgere all’interno della Chiesa uomini colmi dello spirito d’orgoglio e di novità, che si atteggiavano a riformatori ispirati, e che, vaneggiando di riconciliare la Chiesa con il liberalismo, tentarono di realizzare un’unione adultera fra la Chiesa e i princìpi della Rivoluzione!
Come, in effetti, conciliare Nostro Signore Gesù Cristo con un ammasso di errori cosi diametralmente opposti alla sua Grazia, alla sua Verità, alla sua Divinità, alla sua Regalità universale?
No, i Papi non si sbagliarono quando, fondati sulla Tradizione e muniti a tal titolo dell’assistenza dello Spirito Santo, condannarono in forza della loro autorità suprema e con una continuità degna di nota il grande tradimento cattolico liberale.
Allora, com’è riuscita la setta liberale a imporre le sue opinioni in un concilio ecumenico? In che modo l’unione contro natura fra la Chiesa (3) e la Rivoluzione ha partorito il mostro i cui deliri riempiono adesso di orrore anche i suoi più caldi sostenitori? È a tali domande che io mi sforzo di rispondere in queste conversazioni sul liberalismo, mostrando come, una volta penetrato nella Chiesa, il veleno del liberalismo la conduca per una conseguenza naturale all’apostasia. «Dal liberalismo all’apostasia»: tale dunque il tema di questi capitoli.
Certo, vivere in un’epoca di apostasia non ha in sé nulla di esaltante! Consideriamo però che tutti i tempi e tutti i secoli appartengono a Nostro Signore Gesù Cristo: Ipsius sunt tempora et sæcula, ci fa dire la liturgia pasquale. Questo secolo di apostasia, senza dubbio in maniera diversa dai secoli della fede, appartiene a Gesù Cristo:
per un verso l’apostasia del grande numero manifesta la fedeltà eroica del piccolo numero; era così anche al tempo del profeta Elia in Israele, quando Dio non preservò che settemila uomini, che non caddero in ginocchio dinanzi a Baal (3 Re 19,18). Non inginocchiamoci dunque dinanzi all’idolo del «culto dell’uomo» (4), «stabilito nel santuario, assiso come se fosse Dio» (2 Ts 2,4). Restiamo cattolici, adoratori del solo vero Dio, Nostro Signore Gesù Cristo, con Suo Padre e lo Spirito Santo!
D’altra parte, come testimonia la storia della Chiesa, ogni età di crisi prepara un’età di fede e, nella fedeltà alla tradizione, un rinnovamento autentico.
A voi tutti contribuirvi, cari lettori, ricevendo umilmente quel che la Chiesa ci ha trasmesso, fino alla vigilia del Vaticano II, per bocca dei Papi, e che io vi trasmetto a mia volta. È questa dottrina costante della Chiesa che io ho ricevuto senza scopi reconditi, è questa che io vi trasmetto senza riserva:quam sine fictione didici, sine invidia communico (5).
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1) Cardinale Joseph Ratzinger, Entretien sur la foi, Fayard, Paris 1985, pp. 45-48.
2) Conversazione del 13 febbraio 1975.
3) O piuttosto uomini di Chiesa, o l’apparato esteriore della Chiesa.
4) Espressione di Paolo VI.
5) Sap 7, 13

(Fonte: Mons. Marcel Lefebvre - Lo hanno detronizzato. Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia conciliare)

Il demonio parla del Concilio e della nuova chiesa

Le argomentazioni a proposito della gravissima crisi della Chiesa, addotte su base dottrinale o citando la Sacra Scrittura e i Santi Padri, trovano più e più volte conferma anche nelle rivelazioni private di molti mistici e nei messaggi della Santissima Vergine.

Ma è interessante notare come, sotto ordine dell'esorcista, anche il Principe delle tenebre confessi di essere l'artefice di questa crisi.

Riportiamo alcune rivelazioni fatte dal Maligno nel 1975, per bocca di Anneliese Michel, una cattolica bavarese posseduta da sei demoni (tutti i testi sono trascrizioni e traduzioni di originali registrati e conservati negli Archivi Diocesani di Würzburg). Ne tragga il lettore le debite conseguenze.
I nemici della Chiesa sono nostri amici!
La talare ormai non la indossa più nessuno. Questi modernisti della Chiesa sono opera mia e mi appartengono tutti ormai.
Tutti adesso tirano fuori le zampe per prendere la Comunione e neanche si inginocchiano più! Ah! Opera mia!
L’altare rivolto verso i fedeli è stata idea nostra… Sono tutti corsi dietro agli Evangelici come meretrici! I Cattolici hanno la vera dottrina e corrono dietro ai Protestanti!
Peccato che il Sinodo (Concilio Vaticano II) sia finito, ci ha rallegrato moltissimo!
Tante Ostie vengono profanate perché vengono date sulle mani. Non si rendono nemmeno conto!
Il nuovo catechismo olandese l’ho scritto io! È tutto falsificato!

Padre Pellegrino Ernetti osb, esorcista veneziano ora deceduto, ha raccolto altre confessioni del demonio relative a quel che gli piace:
La particola alla mano, così posso calpestare il vostro Dio, quel Dio che io ho ucciso; e posso celebrare le mie messe (le messe nere) con i miei Sacerdoti che ho strappato a Lui...
I Preti vestiti come netturbini, camuffati; così li porto dove voglio io, negli alberghi e nelle case private, in cerca di donne e di omosessuali e faccio commettere tanti sacrilegi e li porto nel mio regno! Quanti, quanti Preti mimetizzati sono nel mio regno! E non mi scapperanno più!
I Preti e i Vescovi iscritti alla Massoneria e alle mie sette... oh quanti, oh quanti ce ne porto col denaro e con le donne... quanti, quanti diventano miei amici fedeli... col denaro e con le donne... ne prendo quanti ne voglio, li porto nel mio regno.
Ma soprattutto mi piacciono e mi rallegrano quegli ecclesiastici che negano la mia esistenza e la mia opera nel mondo... e sono tantissimi... oh, che gioia, che gioia per me... lavoro tranquillo e sicuro... persino i teologi oggi non credono nella mia esistenza... che bello… che gioia… e così negano anche quel loro Dio che era venuto per distruggermi...

Domenico Mondrone riporta altre frasi del Maligno:
In un secondo momento mi lavorerò uno per uno i parroci rispetto al loro pastore. Oggi il concetto di autorità non funziona più come una volta. Sono riuscito a dargli uno scossone irreparabile. Il mito dell'ubbidienza sta tramontando. Per questa via la Chiesa sarà portata alla polverizzazione. Intanto vado avanti con la decimazione continua di preti, dei frati, delle suore, ad arrivare allo spopolamento totale dei seminari e dei conventi: tolti di mezzo i suoi "operai della Vigna", subentreranno i miei e avranno via libera nel loro lavoro definitivo.
A me preme incrementare il numero dei preti che passano dalla mia parte. Sono i migliori collaboratori del mio regno. Molti o non dicono più messe o non credono a ciò che fanno all'altare. Molti di essi li ho attirati nei mie templi, al servizio dei miei altari, a celebrare le mie messe. Vedessi che meravigliose liturgie ho saputo imporre loro a sfregio di quelle celebrate nelle vostre chiese. Le mie messe nere.

Padre Amorth riporta un'altra frase del demonio sulla crisi attuale:
Il tempo dell'Anticristo è il nostro tempo, il tempo dell'inizio del terzo millennio. Non sarà difficile riconoscere la venuta di questa persona: egli, infatti, come dice san Paolo, sedurrà l'uomo presentandosi come l'inviato di Dio e sederà nel tempio di Dio additando se stesso come Dio.
Concludiamo con le rivelazioni di un altro demonio, rese durante un esorcismo celebrato il giorno 11 Febbraio 2013:
La Chiesa Cattolica è sotto attacco: le potenze delle tenebre sono scatenate contro la Sposa di quello che abbiamo appeso alla Croce. E' l'ultimo assalto che stiamo portando alla sua Chiesa. Le dimissioni del Pontefice, prese in piena libertà e coscienza, aprono la strada al nostro ultimo attacco frontale.
Non basta la corruzione, non basta l'avidità di denaro, non basta suscitare gli scandali, bisogna condurre una battaglia che abbia come esito finale la distruzione della cosiddetta Chiesa di Roma.
Sono duemila anni che noi angeli decaduti con l'aiuto di uomini di Chiesa e di politicanti da strapazzo, cerchiamo di colpire mortalmente Quella tremenda Invenzione del Nazareno. Purtroppo non ci siamo ancora riusciti, perché essa appartiene all'Onnipotente.
Tutti i nostri sforzi risultano vani, perché le porte dell'inferno, come Quel crocefisso disse, non prevarranno. Ma noi non ci arrendiamo. Continueremo a colpirla, a ferirla, a farla sanguinare, anche grazie a chi, dall'interno di essa, si è consegnato nelle nostre mani.
Dobbiamo arrivare ad occupare il trono del Vicario di Quello inchiodato alla croce. Con le buone o con le cattive. Costi quel che costi.
Stiamo lavorando a spopolare i seminari, a far chiudere i conventi, ma non riusciamo a far smettere quelle donne e quegli uomini, rinchiusi dietro una grata, di pregare. Ancora ci sono giovani che si dedicano alla preghiera nel silenzio di quei monasteri. Maledetti! quanto ci fanno male quelle vite donate all'Altissimo.
Ormai molti Cardinali, Vescovi, Sacerdoti, sono in totale dissenso rispetto alla Tradizione della vostra Chiesa, sono in disaccordo sul conservatorismo papista.
E dietro il progressismo, dietro certe aperture post conciliari ci siamo noi! Perché vogliamo la confusione, la dissociazione, la divisione dentro e fuori la Sede petrina, come la chiamate voi.
Continuate pure a credere che tutto è una favola pretigna, così il numero di quelli che precipitano qui all'inferno aumenterà sempre più. Ormai non si contano più.
Posso dirti, brutto pretaccio, che provocheremo un attacco terribile contro la Chiesa romana, faremo tremare le sue mura, ma non scalfiremo la sua stabilità.

Ma ora ci stiamo concentrando sulla Chiesa e sino a quando il nostro lavoro distruttore non sarà compiuto non le daremo pace.
Ho chiesto degli anni a Quello lassù. Ora è il nostro tempo, quindi siamo scatenati, ben sapendo che il periodo concesso sta per terminare.

Quel papa della Rerum Novarum, vide, mentre celebrava la Messa, i demoni fuoriuscire dalle viscere della terra e diffondersi dappertutto. Così scrisse quell'odiosa preghiera al Principe delle Milizie celesti, che noi, però, abbiamo fatto abolire al termine della celebrazione.
Vedrete cosa farò alla vostra Chiesa, che scisma provocherò, peggiore di quelli passati. Vedremo quanti sono dalla Sua parte e quanti dalla mia.

Pregate per Papa Benedetto, ha sofferto molto per i peccati compiuti nella Chiesa, il peso degli stessi lo ha indebolito nel fisico e nell'anima, ma non l'ho vinto.
Pregate per i Cardinali, molti dei quali sono miei; pregate per i vescovi che ormai vanno per conto loro.
 (Fonte: opportuneimportune.blogspot.it) 

La mondanità e l'inversione dei valori

Mancare di infinità è limitatezza, ristrettezza disperata. Qui si parla, naturalmente, di ristrettezza e limitatezza soltanto nel senso etico. Nel mondo si parla, in fondo, soltanto di limitatezza intellettuale o estetica o di cose senza importanza, di cui nel mondo si parla sempre più di tutto; perché mondanità vuol dire proprio attribuire alle cose senza importanza un valore infinito. […]
La ristrettezza disperata è mancanza di originalità, essersi, in un senso spirituale, evirato. Infatti, ogni uomo ha l’indole primitiva di essere un io, è determinati a diventare se stesso; certamente ogni io come tale è come una pietra angolosa, ma da ciò si può trarre soltanto la conseguenza che bisogna sfaccettarlo, non lisciarlo; non ne consegue che l’io debba, per paura degli uomini, rinunciare completamente a essere se stesso e neppure, soltanto per paura degli uomini, non osare di essere se stesso nella sua esistenza essenziale (è proprio quella che non deve essere lisciata), nella quale uno è se stesso per se stesso.
Mente una specie di disperazione si smarrisce nell’infinito e perde se stessa, un’altra si lascia quasi carpire il suo io dagli altri.
Vedendo intorno a sé la folla degli uomini, affaccendandosi con ogni sorta di affari mondani, imparando come vanno le cose del mondo, un tale uomo dimentica se stesso, dimentica cosa egli è in un senso divino, non osa più credere in se stesso, trova che sia troppo rischioso essere se stesso, è molto più facile e più sicuro essere come gli altri, diventare una scimmiottata, un numero fra gli altri nella folla.

Di questa forma di disperazione nel mondo non ci si accorge quasi per niente. Un tale uomo, proprio per avere perduto così se stesso, ha acquistato la capacità perfetta di andare avanti in tutti gli affari, anzi di far fortuna nel mondo. Egli non trova alcun ostacolo, alcuna difficoltà che derivi dal suo io e dalla sua tendenza verso l’infinito; egli è lisciato come un ciottolo.
Tutti sono così lontani dal ritenerlo disperato che egli è proprio un uomo come dev’essere. Il mondo, com’è naturale, non comprende per niente che cosa sia in verità il terribile. La disperazione che non solo non vuole disturbi nella vita, ma rende alla gente la vita comoda e piacevole, naturalmente non si ritiene in nessun modo disperazione. [...]
Così, agli occhi del mondo, è pericoloso arrischiarsi; e perché? Perché così si può perdere. Ma non arrischiarsi, questo è prudente. Eppure proprio non arrischiandosi uno può perdere con facilità tanto terribile ciò che, per quanto avesse perduto con l’arrischiarsi, difficilmente avrebbe perso; e in ogni caso mai in questo modo, mai così facilmente, proprio come se nulla fosse: se stesso. Perché se ho sbagliato nell’arrischiarmi, ebbene, la vita mi aiuta con la pena. Ma se non mi sono arrischiato affatto, chi mi aiuterà? E se o per soprammercato, non arrischiandomi affatto nel senso più alto (e arrischiandosi nel senso più alto è proprio accorgersi di se stesso) conquisto vigliaccamente tutti i vantaggi terreni e perdo me stesso?
E questo è proprio il caso della disperazione del finito. Un uomo, se è disperato in questo modo, può per questo benissimo, in fondo, anzi tanto meglio, passare la sua vita nella temporalità, essere secondo l’apparenza un uomo, essere elogiato dagli altri, onorato e stimato, occuparsi di tutti gli scopi temporali. Ciò che si chiama il mondo consiste tutto di tali uomini, i quali per così dire vendono la loro anima al mondo.
Essi adoperano le loro facoltà, raccolgono denari, esercitano attività mondane, fanno calcoli prudenti e via dicendo, sono forse nominati nella storia, ma se stessi non sono, non hanno, in senso spirituale, nessun io per amor del quale possano arrischiare tutto, nessun io davanti a Dio, per quanto essi per il resto siano egoisti.  

(Fonte: Soren Kierkegaard - Saper scegliere - Mondadori)

Il liberalismo

In poche parole il liberalismo, come ha scritto Monsignor Lefebvre nella "Lettera agli Amici e Benefattori" n. 9, può definirsi come la dottrina che "pretende liberare l’uomo da qualsiasi costrizione non voluta o non accettata da lui stesso".

Questa liberazione si manifesta a un triplice livello. Per primo a livello della Verità con il rifiuto "di qualsiasi verità oggettiva imposta". Ciascuno deve poter avere la sua verità che viene così "inevitabilmente spezzettata". Poi a livello della Fede, col rifiuto dei dogmi definiti una volta per sempre. Il liberalismo vuoI sottomettere i dogmi al giudizio della ragione e della scienza. Infine a livello della Legge, con la sostituzione della coscienza alla legge.

Questi princìpi hanno come conseguenza di "distruggere la filosofia dell’essere" e di portare ad un’evoluzione permanente, particolarmente in materia di dogmi. Essi portano ugualmente "alla negazione del soprannaturale". Il sentimento religioso sostituisce la grazia. "L’appartenenza a una comunità umana di tipo religioso" prevale su quella al corpo mistico di Nostro Signore, come lo si vede nell’attuale riforma liturgica. Questi princìpi hanno come risultato la sostituzione, in tutti i campi, della autorità personale, partecipazione dell’autorità di Dio con quella della maggioranza.