Getsemani. Riflessioni sul Movimento Teologico Contemporaneo - sesta parte

ALTERAZIONE DELLA STORIA E LIBERAZIONE ETERNA TRE ESPRESSIONI DELLA NUOVA CORRENTE

I pochi punti di riferimento per la comprensione dell'attuale movimento teologico - di cui abbiamo parlato - non sono certo emersi subitamente in seno ad una «terra vergine», come se fossero la primaria sorgente del movimento che n'è conseguito.
 
Il punto di riferimento, si fissa o si situa in vista di una finalità che ci si propone o che si accetta per meditare o per apportare un giudizio su un insieme di avvenimenti e di concetti. Questa finalità, che costituisce un criterio, può essere più o meno estesa per quel che riguarda la durata e la somma dei fatti esaminati e per quel che riguarda la più profonda e la più generale visione, che l'uomo che medita, si fa delle cose; questa finalità-criterio può essere più o meno universale, più o meno trascendentale ed escatologica, o invece relativa e temporale.
Che si voglia o no, c'è sempre un criterio attraverso il quale si riconoscono punti di riferimento nello sviluppo di una serie di fatti in un lasso di tempo. E quanto è stato qui detto, cioè l'inevitabile necessità di avere un criterio per situare punti di riferimento, fa già parte dell'argomento fondamentale sul quale adesso rifletteremo.

Giacché, attenendosi a tutta l'esperienza della storia umana, il pensiero ed il discorso, senza un punto di riferimento, manifestano il disordine e lo squilibrio.

In ogni modo, il dominio nel quale stiamo per entrare è più vasto e già contiene la più remota origine di queste manifestazioni, che sono allora i punti di riferimento di cui abbiamo parlato.

In seno al mondo del pensiero, mondo filosofico, teologico, scientifico e politico, e più particolarmente in seno al mondo cristiano, al di dentro e al di fuori della Chiesa cattolica, si è manifestato un evento nuovo, o meglio si è manifestato di nuovo, in modo più acuto e in una nuova veste, un fatto antichissimo, che da sempre accompagna l'avventura del pensiero e dell'azione dell'uomo: un insieme di vedute, di proposizioni, di postulati e di concetti ha ormai da lungo tempo creato una tendenza polimorfa e nel contempo uniforme, se così si può dire, perché unico è il suo orientamento.

Questa tendenza rivendica sotto parecchie forme, apparentemente dai differenti orientamenti, il diritto morale ed intellettuale di rinnovare da cima a fondo ogni nozione e metodo di scienza, di filosofia, di teologia, di morale e di storia. Si tratta di una potente corrente che intacca ormai la nozione ed il principio della vita, e la nozione ed il principio della conoscenza.

In questa corrente generale che abbraccia tutto il campo dell'attività intellettuale, morale e pratica, tre fatti meglio esprimono la base di questo cambiamento polimorfo ed uniforme: 
- In primo luogo, il credere di aver scoperto una nuova dimensione dell'uomo: la coscienza storica. 
- In secondo luogo, il credere di aver scoperto un «nuovo» ed unico cammino per la conoscenza della verità: l'ermeneutica.
- In terzo luogo, il credere di aver scoperto una nuova percezione fondamentale dei fenomeni, un modo radicalmente nuovo per percepire la Realtà, la vita universale, il cosmo e la vita interiore dell'uomo, ossia un nuovo riferimento trascendentale riguardo alla verità e alla conoscenza che si può chiamare: il riferimento esistenziale.

Questi tre fatti compendiano un gran numero di orientamenti spesso divergenti, ma solo in apparenza, infatti facilmente ci si può rendere conto come siano interdipendenti; essi si manifestano come se mossi e provocati da un solo ed unico fattore. La distinzione, però, di questi tre fatti corrisponde anche alla realtà delle cose, e per questo ci è di aiuto per approfondire l'attuale realtà generale e più particolarmente il movimento teologico contemporaneo.

Per percepire, dunque, quel tanto che è possibile e permesso all'uomo, sia la lontana origine come le conseguenze generali di questi tre fatti, cioè per poter stimare, con la massima oggettività possibile, il significato e le conseguenze della tendenza espressa da questi tre fatti, da questi tre generici fenomeni, si dovrebbe prima di tutto poter esaminare in profondità la nozione ed anche la realtà della nozione «storia», la nozione e la realtà del verbo (parola, linguaggio e lingua) ed anche la nozione dei vocaboli «essere» ed «esistenza».

C'è un fattore, però, che va tenuto in conto sin dall'inizio, in ogni meditazione, in ogni inchiesta, in ogni studio; giacché è un fattore che ora appartiene intrinsecamente ai tre fatti, ai tre fenomeni di cui abbiamo appena parlato. Ossia nella moltitudine degli scritti più o meno sapienti, più o meno dottrinali, più o meno indipendenti e rivoluzionari, concernenti direttamente o indirettamente il problema della coscienza storica, il problema dell'ermeneutica e il problema del riferimento esistenziale, i termini-chiave degli enunciati appaiono spesso ambigui, contraddittori e polivalenti, e questo accade negli autori di una stessa scuola, di una stessa terminologia e spesso nello stesso scritto di un medesimo autore.

Così ci si trova davanti ad un fattore che determina e trasforma sempre più la parola e la sensibilità di un considerevole numero di uomini del nostro secolo. Termini antichi e termini nuovi, che sono fondamenti di teorie, di proposizioni basilari e si ripetono senza tregua con una patetica insistenza e talvolta a modo di cantilena, come se da soli contenessero la chiave di ogni arcano, restano spesso con un contenuto molto incerto, privi di una vera sfumatura liberatrice, e di conseguenza senza alcuna forza per trasmettere una luce di pace nel pensiero e nel cuore.

Non è raro assistere ad una specie di insospettabile prestidigitazione delle parole: essere, ente, esistenza, interpretazione, comprensione, ermeneutica, linguaggio, lingua, parola, sostanza, essenza, soggettività, oggettività, struttura, identità, prassi, ortoprassi, liberazione, acculturazione, e molte altre parole antiche e nuove, persino di primaria importanza, cambiano di risonanza, di significato in modo da ricordare il camaleonte sotto il sole e all'ombra della foresta. Da una scuola all'altra, da un capitolo all'altro dello stesso libro, le parole fuggono, scivolano in continuazione, piene di sottintesi con risonanze ogni volta differenti, in modo da non lasciar dietro alcun principio, alcuna nozione, alcun concetto dal significato fondamentale stabile; si assiste, in nome di una rivalutazione della parola, ad una polivalenza e ad un'anarchica dispersione di ogni ordine essenziale del verbo.

Questo fenomeno, che molto spesso, accompagna ora le differenti manifestazioni dei tre fatti sopra citati - riguardo alla coscienza storica, riguardo all'ermeneutica, riguardo al riferimento esistenziale - è un evento molto significativo e molto grave.

Giacché non si tratta di considerazioni e di atteggiamenti personali da parte di dilettanti, ma si tratta di tutta una corrente filosofica e teologica e di una trasformazione della sensibilità nel linguaggio circa i più importanti argomenti quali sono la verità, la conoscenza, l'uomo, Dio.

È grave perché si tratta di una «nuova coscienza» dell'uomo e di «nuovi postulati» per l'approfondimento del verbo e del linguaggio. È grave perché questo investe tutto l'orientamento del pensiero e della vita della Chiesa e della città. E così si assiste spesso ad uno sforzo per creare e definire un linguaggio e conferire ai termini un nuovo significato
Ci si sforza di creare un linguaggio universalmente ammesso, ma in fondo senza un universale riferimento. È uno sforzo disperato, poiché i termini di un linguaggio, per quanto sfumati e sottili si possano volere, debbono avere un riferimento, un intrinseco riferimento universale reale per essere universali, veri ed efficaci.

Dalla letteratura filosofica di differenti tendenze e dalla letteratura teologica di differenti confessioni cristiane, affiora invece un rifiuto viepiù combattivo contro ogni riferimento ad una nozione semplice e profonda dell'essere. È come se ci si trovasse davanti ad una specie di allergia ontologica ad ogni nozione, ogni parola ed ogni sentimento che evochino una stabilità eterna.

Per rendersi conto di questo formidabile differenziarsi della sensibilità dell'uomo circa la verità come anche della fluente incertezza del linguaggio polivalente, è sufficiente, malgrado il grande dispiacere che questo comporti, prima di ogni paziente inchiesta ed ogni studio, prendere esempi a caso, quasi senza scegliere, dai differenti scritti.

Per illustrare questo argomento così importante del dubbio nel mondo del linguaggio, apportato dalla tendenza generale e manifestato dai tre fatti di cui abbiamo parlato, ci riferiamo per una prima volta al pensiero e al linguaggio di Martin Heidegger (100), che ha avuto una grande influenza nella filosofia ed anche nella teologia del nostro secolo.

«Una definizione esauriente del linguaggio non potrebbe d'altronde essere raggiunta nemmeno riunendo sincretisticamente tutte queste definizioni. Il decisivo resta sempre l'elaborazione chiarificativa dell'unità ontologica-esistenziale della struttura del discorso sul fondamento dell'analisi esistenziale». (101)

Certo senza un riferimento dominante ed universale, non si può dare alcuna definizione esauriente né del linguaggio, né di alcun'altra manifestazione nella vita del pensiero e del cosmo. Si può, però, concludere che il «decisivo» che resta, consiste nel fatto che l'espressione «ontologica-esistenziale» vuole sopprimere ogni nozione di «essere - **», ogni riferimento dei termini a significati e a realtà stabili.

All'edizione italiana del libro di Martin Heidegger "Sein und Zeit", "Essere e tempo" è stato aggiunto un glossario, certamente nell'intento di facilitare la comprensione del testo. Basta scorrere questo glossario per capire in quale vicolo cieco, a causa di questa tendenza - che si può chiamare qui, per farci capire: storica, ermeneutica ed esistenziale - siano entrati ed entrino il pensiero di gran parte della cristianità come pure le università del mondo.

In questo glossario si può leggere: - «Esistenza (Existenz): È l'essere dell'Esserci, a cui l'Esserci si rapporta sempre nella comprensione dell'essere che è propria di esso. Non va quindi confusa con l'existentia che la tradizione contrappone alla essentia e che in Heidegger corrisponde piuttosto alla semplice-presenza (v.)». (102)

E seguendo il rinvio, si va alla parola «semplice-presenza»: - «Semplice-presenza (Vorhandenheit): È una categoria fondamentale, cioè un modo di essere degli enti che l'Esserci incontra nel mondo. lnnanzitutto e per lo più (v.) l'Esserci incontra l'ente intramondano prendendosi cura (v.) di esso; in tal modo questo ente si rivela sotto l'aspetto categoriale dell'utilizzabilità (v.). Quando l'Esserci assume invece l'atteggiamento conoscitivo, va oltre l'utilizzabilità immediata e tende ad esibire all'ente intramondano la semplice-presenza». (103)

E per meglio circoscrivere e mettere in evidenza quel che questi esempi indicano, è utile vedere come Martin Heidegger definisce egli stesso il termine «ente»: - «Noi diamo il nome di 'ente' a molte cose e in senso diverso. Ente è tutto ciò di cui parliamo, ciò a cui pensiamo, ciò nei cui riguardi ci comportiamo in un modo o nell'altro; ente è anche ciò che noi siamo e come siamo». (104)

E infine il glossario continua: 
- «Esserci (Dasein): È il termine scelto da Heidegger per designare la realtà umana. L'essere dell'Esserci è l'esistenza». (105) Quindi per ogni uomo libero, psicologicamente e spiritualmente libero, e persino per un uomo in buona fede e agnostico, è chiaro che in queste tre espressioni «essere», «Esserci» e «esistenza», l'una è almeno superflua, perché se l'essere dell'Esserci è l'esistenza e se l'Esserci è la realtà umana nelle modulazioni e fluttuazioni temporali dell'esistenza, la nozione dell'essere si dissipa e si dilegua, sostituita fondamentalmente dalla nozione di esistenza nel tempo. 

Il libro di Heidegger "Essere e tempo" è uno tra i numerosi tipici esempi di questa avventura senza fine del linguaggio umano, manifestando in quale vicolo cieco intellettuale, spirituale e morale si trovi l'uomo ribellatosi ai suoi naturali ed eterni riferimenti.