La Legge opprime la Libertà?

Non saprei riassumere meglio i disastri prodotti dal liberalismo in ogni campo, quali sono esposti nel capitolo precedente, che citandovi questo passaggio di una Lettera pastorale vescovile di cent’anni fa, ma altrettanto attuale un secolo più tardi.

«Oggi il liberalismo è l’errore capitale delle intelligenze e la passione del nostro secolo, crea come un’atmosfera infetta che avviluppa da ogni parte il mondo politico e religioso, e che è un pericolo supremo per la società e per l’individuo.

«Nemico tanto gratuito quanto ingiusto e crudele della Chiesa cattolica, esso affastella, in un disordine insensato, tutti gli elementi di distruzione e di morte, al fine di proscriverla dalla terra.

«Esso falsa le idee, corrompe i giudizi, adultera le coscienze, snerva i caratteri, accende le passioni, assoggetta i governanti, solleva i governati e, non contento di spegnere (se ciò fosse possibile) la face della rivelazione, avanza incosciente e audace per spegnere il lume della stessa ragione naturale» (26).

Enunciazione del principio liberale

Ma è possibile scoprire, in un tale caos di disordini, in un errore così multiforme, il principio fondamentale che spiega tutto? Io vi ho detto, seguendo il reverendo Roussel: «il liberale è un fanatico d’indipendenza». È tutto qui. Ma cerchiamo di precisare.

Il Cardinale Billot, i cui trattati teologici furono i miei libri di testo all’Università Gregoriana e al Seminario francese di Roma, ha dedicato al liberalismo alcune pagine energiche e luminose del suo trattato della Chiesa (27). Egli enuncia come segue il principio fondamentale del liberalismo:

«La libertà è il bene fondamentale dell’uomo, bene sacro e inviolabile al quale non è punto permesso di recare oltraggio con qualsivoglia forma di coazione; di conseguenza, questa libertà senza limite deve essere la pietra immobile sulla quale si organizzeranno tutti gli elementi dei rapporti fra gli uomini, la norma immutabile secondo la quale tutte le cose saranno giudicate dal punto di vista del diritto; sarà dunque equo, giusto e buono tutto quel che, in una società, avrà come base il principio della libertà individuale inviolata; iniquo e perverso tutto il resto. Questo fu il pensiero degli autori della rivoluzione del 1789, rivoluzione della quale il mondo intero gusta ancora i frutti amari. Questo è tutto l’oggetto della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo”, dalla prima all’ultima riga. Questo fu, per gli ideologi, il punto di partenza necessario per la riedificazione completa della società nell’ordine politico, nell’ordine economico, e soprattutto nell’ordine morale e religioso» (28).

Ma, potreste dire voi, la libertà non è la caratteristica propria degli esseri intelligenti? Non è dunque giusto che se ne faccia la base dell’ordine sociale? Attenzione, vi risponderei io! Di quale libertà parlate? Giacché questo termine ha parecchi significati che i liberali s’ingegnano di confondere, mentre è necessario distinguerli.

C’è libertà e libertà…

Facciamo un po’ di filosofia. La più elementare riflessione ci mostra che ci sono tre tipi di libertà.

1) Innanzitutto la libertà psicologica, o libero arbitrio, propria degli esseri provvisti di intelligenza, e che è la facoltà di determinarsi verso l’una o l’altra cosa, in maniera assolutamente indipendente da ogni necessità interiore (riflesso, istinto, ecc.). Il libero arbitrio attua la dignità radicale della persona umana, che è quella di essere sui juris, di dipendere da se stessa, e dunque di essere responsabile, cosa che l’animale non è.

2) Poi abbiamo la libertà morale, che concerne l’uso del libero arbitrio: uso buono se i mezzi scelti conducono al conseguimento di un fine buono, uso cattivo se non vi conducono. Vedete dunque che la libertà morale è essenzialmente relativa al bene. Papa Leone XIII la definisce magnificamente e in una maniera semplicissima: la libertà morale, afferma, è «la facoltà di muoversi nel bene». La libertà morale non è dunque un assoluto, essa è interamente relativa al Bene, cioè in definitiva alla legge. Perché è la legge, e innanzitutto la legge eterna che è nell’intelligenza divina, poi la legge naturale che è la partecipazione alla legge eterna propria della creatura ragionevole, è questa legge che determina l’ordine posto dal creatore tra i fini che egli assegna all’uomo (sopravvivere, moltiplicarsi, organizzarsi in società, giungere al proprio fine ultimo, il Summum Bonum, che è Dio) e i mezzi atti a conseguire questi fini. La legge non è un’antagonista della libertà, al contrario è un aiuto necessario, e questo va detto anche delle leggi civili degne di questo nome. Senza la legge, la libertà degenera in licenza, che è «fare quel che mi piace». Per l’appunto certi liberali, facendo di questa libertà morale un assoluto, predicano la licenza, la libertà di compiere indifferentemente il bene o il male, di aderire indifferentemente al vero o al falso. Ma chi non vede che la possibilità di venir meno al bene, lungi dall’essere l’essenza e la perfezione della libertà, è il marchio dell’imperfezione dell’uomo decaduto! Meglio ancora, come spiega san Tommaso (29), la facoltà di peccare non è una libertà, ma una servitù: «colui che commette il peccato è schiavo del peccato» (Gv 8, 34).

Al contrario, ben guidata dalla legge, incanalata fra preziosi parapetti, la libertà consegue il suo fine. Ecco cosa dice papa Leone XIII a tal proposito:

«Tale essendo dunque nell’uomo la condizione della sua libertà, troppo era necessario avvalorarla di lumi e di aiuti, che in tutti i moti suoi la indirizzassero al bene e la ritraessero dal male; altrimenti di grave danno sarebbe riuscito all’uomo il libero arbitrio. E primieramente fu necessario porgli una legge ossia una regola di ciò che si ha da fare ed omettere…» (30).

E Leone XIII conclude la sua esposizione con questa mirabile definizione, che io definirei plenaria, della libertà:

«Nell’ordine sociale dunque, la civile libertà degna di questo nome, non consiste già in far quel che talenta a ciascuno, ciò che anzi provocherebbe confusioni e disordini, che riuscirebbero in ultimo ad oppressione comune; ma in questo unicamente, che con la tutela e l’aiuto delle leggi civili si possa più agevolmente vivere secondo le norme della legge eterna» (31).

3) Infine viene la libertà fisica, o libertà d’azione o libertà dalla costrizione, che è l’assenza di costrizione esteriore che ci impedisce di agire secondo la nostra coscienza. Ebbene, è proprio di questa libertà che i liberali fanno un assoluto, ed è questa concezione che noi dovremo analizzare e criticare.

Ordine naturale e legge naturale

Ma prima vorrei insistere sull’esistenza dell’ordine naturale e della legge naturale, giacché i liberali consentono sì ad ammettere delle leggi, ma leggi che l’uomo stesso ha forgiato, mentre rifiutano ogni ordine (o ordinazione o ordinamento) e ogni legge di cui l’uomo non sia l’autore!

Ora, che ci sia un ordine naturale concepito dal Creatore per la natura minerale, vegetale, animale, e anche per la natura umana, è una verità scientifica. Nessuno studioso penserà di negare l’esistenza di leggi iscritte nella natura delle cose e degli uomini. In cosa consiste infatti la ricerca scientifica, per la quale si spendono miliardi? Cos’è, se non la ricerca di leggi? Si parla spesso di invenzioni scientifiche, ma si sbaglia: non si è inventato nulla, si sono solo scoperte e utilizzate delle leggi. Queste leggi che si scoprono, questi rapporti costanti fra le cose, non sono gli scienziati che le creano. La stessa cosa vale per le leggi della medicina che regolano la salute, per le leggi della psicologia che regolano l’azione pienamente umana: queste leggi, ne convengono tutti, l’uomo non le pone, le trova già poste nella natura umana. Ma quando si tratta di trovare le leggi morali che regolano le azioni umane in rapporto con le grandi finalità dell’uomo, allora i liberali non parlano che di pluralismo, di creatività, di spontaneità, di libertà; secondo loro, ciascuno o ciascuna scuola filosofica ha la capacità di costruirsi autonomamente la propria etica, come se l’uomo, nella parte razionale e volontaria della sua natura, non fosse una creatura di Dio!

L’anima umana si è dunque fatta da sola, o si fa da sola? Eppure è evidente che le anime, malgrado tutta la loro complessità e malgrado tutte le loro differenze, sono tagliate sullo stesso modello, hanno la medesima natura. Si tratti dell’anima di uno Zulù dell’Africa del Sud, o di un Maori della Nuova Zelanda, si tratti di un san Tommaso d’Aquino o di un Lenin, avete sempre da fare con un’anima umana.

Un paragone vi farà adesso comprendere quel che voglio dire: oggi non si acquista un oggetto un po’ complicato, come una lavatrice, una fotocopiatrice, un calcolatore, senza chiederne il modo d’uso. C’è sempre una legge per servirsene, una regola che spiega l’esatto uso di questo oggetto per riuscire a fargli compiere correttamente il suo lavoro, per farlo giungere al suo fine, direi io. E questa regola è fatta da colui che ha concepito la macchina in questione, non dalla massaia che si credesse libera di giocare con tutti i tasti e tutti i bottoni! Allora, con le dovute proporzioni, accade la stessa cosa con la nostra anima e il Buon Dio! Dio ci dà un’anima, la crea, dunque necessariamente ci dà delle leggi: ci dà il modo di servircene per conseguire i nostri fini, soprattutto il nostro fine ultimo che è Dio stesso, conosciuto e amato nella vita eterna.

Ah, non se ne parla nemmeno! strillano i liberali; è l’uomo che deve creare le leggi dell’anima umana. Non stupiamoci dunque che dell’uomo si faccia uno squilibrato, a forza di farlo vivere in maniera contraria alle leggi della sua natura. Immaginate degli alberi che volessero sottrarsi alle leggi della vegetazione: morirebbero, è chiaro! Alberi che rinunciassero a far salire la loro linfa, o uccelli che si rifiutassero di cercare il loro nutrimento perché questa contingenza dispiace loro: ebbene, morirebbero. Non seguire la loro legge, quella che detta il loro istinto naturale, è la morte! E badate che l’uomo non segue affatto un istinto cieco come gli animali: Dio ci ha accordato l’immenso beneficio della ragione, grazie alla quale noi abbiamo l’intelligenza della legge che ci regola, al fine di dirigerci da soli, liberamente, verso il fine, ma non senza applicare la legge! La legge eterna e la legge naturale, la legge soprannaturale, poi le altre leggi che derivano dalle prime: le leggi umane, civili o ecclesiastiche, tutte queste leggi sono per il nostro bene, la nostra felicità è lì. Senza un ordine stabilito in anticipo da Dio, senza leggi, la libertà sarebbe per l’uomo un dono avvelenato. Questa è la concezione realista sull’uomo, che la Chiesa difende per quel che può contro i liberali. L’onore del grande Papa Pio XII fu specialmente quello di essere stato, dinanzi agli attacchi del liberalismo contemporaneo, il campione dell’ordine naturale e cristiano.

Per ritornare alla libertà, possiamo dire in poche parole che la libertà non si comprende senza la legge: sono due realtà strettamente correlate, che sarebbe assurdo separare e contrapporre:

«nella legge eterna sta infine tutta la regola della vera libertà non pur dei privati, ma altresì degli Stati» (32).

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26) Lettera pastorale dei Vescovi dell’Equatore ai loro diocesani, 15 luglio 1885, citata da Don Sarda y Salvany, Le libéralisme est un péché, pp. 257-258.

27) De Ecclesia, T. II, pp. 19-63.

28) Traduzione riassunta dal testo latino da Padre Le Floch, Le Cardinal Billot lumière de la théologie, p. 44.

29) Commentando la parola di Gesù Cristo in san Giovanni.

30) Enciclica Libertas, del 20 giugno 1888, PIN 179.

31) Ibid., PIN 185.

32) Enciclica Libertas, PIN 184. 
 
(Fonte: Mons. Marcel Lefebvre - Lo hanno detronizzato. Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia conciliare)