Il culto dell'euro e la distruzione dell'uomo

La proposta di una super-tassa europea è stata accolta favorevolmente dal governo italiano, come del resto era prevedibile. L’idea viene dal ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, in accordo con il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker.
Secondo il settimanale tedesco Der Spiegel del 25 luglio, una task force guidata dall’ex premier italiano Mario Monti sarebbe già al lavoro per introdurre al più presto l’eurotassa.
Il fine della super-imposta europea non è solo quello di raccogliere un “tesoretto” per affrontare le situazioni di emergenze tipo Grecia, ma soprattutto di fare un passo avanti verso quella politica fiscale comune europea, che costituisce la mèta agognata dei potentati finanziari e politici internazionali, vale a dire il definitivo affossamento dell’indipendenza delle nazioni europee, già espropriate della loro sovranità monetaria.


«Se l’eurotassa è collegata ad un progetto di integrazione politica e soprattutto ad un effettivo progetto di integrazione sul versante della politica fiscale, allora è una proposta da prendere in considerazione», ha affermato il 27 luglio ad Affaritaliani.it il viceministro dell’Economia Enrico Morando. «Da tanto tempo invochiamo una politica fiscale a dimensione europea, in modo tale che all’unione monetaria corrisponda un’effettiva unione sul versante della politica economica e fiscale. E, quindi, queste sono ipotesi che si muovono coerentemente rispetto a queste esigenze.
L’eurotassa ̶ spiega Morando ̶ va intesa come una politica di prelievo fiscale di dimensione europea, in funzione di un disegno generale di integrazione più forte di cui certamente abbiamo bisogno».

La realizzazione del piano è stata non a caso affidata al senatore Mario Monti, che malgrado la fallimentare esperienza di capo del governo italiano, dal 6 novembre 2011 al 28 aprile 2013, resta il più fidato esecutore dei piani europeisti. Fin dal 1998, l’allora commissario europeo Mario Monti affermava che la “fase 2” dell’Unione Europea, sarebbe stata, dopo quella monetaria, quella fiscale (La Repubblica, 5 maggio 1998).
Il 2 gennaio 1999 lo stesso prof. Monti, annunciava la nascita dell’euro con un articolo in prima pagina sul Corriere della Sera, dal titolo Come una guerra di liberazione. Monti scriveva che il 1° gennaio 1999, «per la prima volta dalle guerre di indipendenza», l’Italia, rinunziando alla sua moneta, aveva «rafforzato l’unità nazionale».

L’appello risorgimentale di Monti non deve stupire. Bisogna sempre ricordare che il fine ultimo del processo avviato dal Trattato di Maastricht del 1992 non è economico, ma politico: la liquidazione degli Stati nazionali europei, non per costruire un “superStato”, ma per creare un non-Stato, un’Europa-azienda gestita da poteri invisibili. Questo progetto risale al conte Claude-Henry de Saint-Simon (1760-1825), il principale esponente del socialismo tecnocratico, che fin dal 1803, nelle Lettres d’un incroyant de Genève à ses contemporains, proponeva la creazione di un “Gran Consiglio di Newton”, collegio supremo formato da ventuno scienziati eletti da tutto il genere umano con il compito di rigenerare il mondo attraverso l’imposizione di un nuovo credo scientifico.
Saint-Simon teorizzò quindi nella Réorganisation de la société européenne (1814), la riforma della società europea secondo il modello di una grande azienda: il potere politico sugli uomini sarebbe stato sostituito dall’amministrazione dei beni e la politica si sarebbe trasformata in scienza della produzione. Questa trasformazione sociale avrebbe dovuto essere favorita dalla religione umanitaria del “Nuovo cristianesimo”.

I seguaci di Saint-Simon fondarono perciò la “religione saint-simoniana”, di cui fu “pontefice” Prosper Enfantin (1796-1864).
Se dietro ogni progetto economico c’è una mèta politica, dietro ogni progetto politico c’è a sua volta un’idea religiosa. L’europeismo è in questo senso un progetto funzionale a una visione politica e religiosa strutturalmente anticristiana, una sorta di “Repubblica universale” nella quale si amalgamerebbero tutti i Paesi della terra, attuando il sogno sincretistico e ugualitario di fondere tutte le razze, tutti i popoli e tutte le religioni.

La strada scelta per attuare questo piano è quella “funzionalista”, dei “piccoli passi”, di Jean Monnet. Una serie di passaggi obbligati porterebbero dal mercato unico alla moneta unica, dalla moneta unica alla fiscalità unica e dalla fiscalità unica all’azienda unica europea, controllata da poteri forti quali la Banca Centrale, la Commissione, la Corte di Giustizia e il Parlamento Europeo.
Una volta avviata la moneta comune, l’unico strumento che resta in piedi per controllare gli squilibri e le crisi economiche è quello del prelievo e della redistribuzione fiscale. Ma, se la rinuncia al diritto di emettere denaro di corso legale e di svolgere un’autonoma politica economica attraverso i cambi significa la cessione di un elemento essenziale della sovranità nazionale, l’unificazione fiscale colpisce ancora più profondamente l’essenza della sovranità politica. Il principio che guidò il processo di indipendenza delle colonie americane dal governo britannico fu, nel XVII secolo, la formula «no taxation without representation» (nessuna tassazione senza rappresentanza).

Lo slogan dell’Unione Europea sembra invece essere il contrario: le tasse, senza elezione dei rappresentanti. L’ultima parola è ai tecnocrati, che non rispondono alle istituzioni rappresentative, Parlamento e governi, ma a club, logge, gruppi di potere i cui interessi sono in antitesi con quelli nazionali.
Questo processo non implica solo la fine della rappresentanza democratica e degli Stati nazionali, ma mira a scalzare la famiglia e la proprietà privata, basi dell’ordine naturale e cristiano, secondo l’antico sogno di Marx ed Engels, che pretesero dare un fondamento “scientifico” alle idee dei socialisti utopisti come Saint-Simon.

Il marxismo, come il sansimonismo, è una visione anticristiana del mondo, che soggiace al culto dell’euro oggi professato, dai tecnocrati di Bruxelles e di Francoforte. La prima condizione per far fallire quest’utopia panteista e ugualitaria è rivelarne le origini e la mèta.

ROBERTO DE MATTEI (corrispondenzaromana.it)