Nel suo intervento [discorso conclusivo tenuto da Bergoglio, ndr], il vescovo di Roma, che a suo dire presiede nella carità l’assemblea delle chiese sorelle, spiega caritatevolmente che la conclusione di questo Sinodo:
“Significa anche aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite.
Significa aver affermato che la Chiesa è Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca del perdono e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi quando si sentono poveri e peccatori.
Significa aver cercato di aprire gli orizzonti per superare ogni ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive, per difendere e per diffondere la libertà dei figli di Dio, per trasmettere la bellezza della Novità cristiana,qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o semplicemente non comprensibile”.
Poi, a scanso di equivoci, aggiunge che:
“l’esperienza del Sinodo ci ha fatto anche capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono. Ciò non significa in alcun modo diminuire l’importanza delle formule: sono necessarie; l’importanza delle leggi e dei comandamenti divini, ma esaltare la grandezza del vero Dio, che non ci tratta secondo i nostri meriti e nemmeno secondo le nostre opere, ma unicamente secondo la generosità illimitata della sua Misericordia (cfr Rm3,21-30; Sal 129; Lc 11,37-54). Significa superare le costanti tentazioni del fratello maggiore (cfr Lc 15,25-32) e degli operai gelosi (cfr Mt 20,1-16). Anzi significa valorizzare di più le leggi e i comandamenti creati per l’uomo e non viceversa (cfr Mc 2,27)”.
E, se qualcuno fosse così duro d’orecchi o di cervice da non sentire e da non intendere, Bergoglio gli dice che:
“aldilà delle questioni dogmatiche ben definite dal Magistero della Chiesa – abbiamo visto anche che quanto sembra normale per un vescovo di un continente, può risultare strano, quasi come uno scandalo – quasi! – per il vescovo di un altro continente; ciò che viene considerato violazione di un diritto in una società, può essere precetto ovvio e intangibile in un’altra; ciò che per alcuni è libertà di coscienza, per altri può essere solo confusione. In realtà, le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale – come ho detto, le questioni dogmatiche ben definite dal Magistero della Chiesa – ogni principio generale ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato. Il Sinodo del 1985, che celebrava il 20° anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II, ha parlato dell’inculturazione come dell’«intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l’integrazione nel cristianesimo, e il radicamento del cristianesimo nelle varie culture umane». L’inculturazione non indebolisce i valori veri, ma dimostra la loro vera forza e la loro autenticità, poiché essi si adattano senza mutarsi, anzi essi trasformano pacificamente e gradualmente le varie culture”.
[...] Mi si chiede che cosa accadrà adesso. Mi pare da escludere l’eventualità che Bergoglio possa compiere un gesto o dire anche una sola parola per rimettere in onore la dottrina e la morale cattoliche. Sta facendo di tutto per distruggerle e, ora che ha quasi portato a termine il suo compito, non può certo buttare al vento tanto lavoro. Azzardo allora due ipotesi.
Ipotesi A. Dopo il Sinodo, tocca al Papa trarre le conclusioni e tradurle in insegnamenti e norme di comportamento: tanto per intenderci, dottrina e morale. A meno che Bergoglio non intenda soffocare subito con i suoi diktat le ultime timide voci di dissenso, per le conclusioni attenderà un po’. Il tempo necessario per cui il sotteso anticristico venuto in luce nei punti chiave della Relatio Finalis diventi naturalmente, o preternaturalmente, operativo senza che ci si debba esporre pubblicamente con strappi definitivi alla dottrina. Non ci vorrà molto perché ormai, nella mente di quasi tutti i cattolici di ogni ordine e grado, questo Sinodo non è considerato un’assemblea consultiva, ma legislativa: quanto è stato approvato in quell’assise, nella mente dei cattolici è di fatto già divenuto legge. Per i sovvertitori, si tratta solo di aspettare che venga applicata ovunque. Una legge non legge, una legge che instaura il caos, una legge in cui ognuno diventa norma a se stesso, perché questo è il territorio del diavolo, ma pur sempre un’indicazione che porta il sigillo, vero o presunto, dell’autorità. Fatto questo, il vescovo di Roma, che presiede nella carità le chiese sorelle, interverrà per codificare caritativamente lo stato di fatto. Senza escludere nessuno, tranne, naturalmente, “i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite”.
Ipotesi B. Non verrà tratta alcuna conclusione e non verrà data alcuna indicazione dottrinale o morale. Ormai tutto sta correndo verso il baratro a una velocità sempre più vorticosa e sarebbe un errore, per i rivoluzionari, mettervi un freno anche solo formale evocando il concetto di legge, di norma. La Chiesa gradita al Nemico è la Chiesa del caos, la Chiesa in cui l’autorità ha compiuto l’ultimo gesto di imperio dismettendo se stessa, la Chiesa in cui il padre si è suicidato davanti ai figli in un tripudio gioioso di liberazione.
In ognuna di queste ipotesi, si vede all’opera lo spirito modernista che ha fatto del Vaticano II, documenti e interpretazioni, una bomba nucleare posta nel cuore della cristianità. Ma oggi è ancora peggio perché il quadro in cui vengono letti i documenti, già tremendi per conto loro, è peggiorato di gran carriera. Non c’è neppure bisogno di forzare le interpretazioni rivoluzionarie. Come si vede, ci pensa il Papa.
“Significa anche aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite.
Significa aver affermato che la Chiesa è Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca del perdono e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi quando si sentono poveri e peccatori.
Significa aver cercato di aprire gli orizzonti per superare ogni ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive, per difendere e per diffondere la libertà dei figli di Dio, per trasmettere la bellezza della Novità cristiana,qualche volta coperta dalla ruggine di un linguaggio arcaico o semplicemente non comprensibile”.
Poi, a scanso di equivoci, aggiunge che:
“l’esperienza del Sinodo ci ha fatto anche capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono. Ciò non significa in alcun modo diminuire l’importanza delle formule: sono necessarie; l’importanza delle leggi e dei comandamenti divini, ma esaltare la grandezza del vero Dio, che non ci tratta secondo i nostri meriti e nemmeno secondo le nostre opere, ma unicamente secondo la generosità illimitata della sua Misericordia (cfr Rm3,21-30; Sal 129; Lc 11,37-54). Significa superare le costanti tentazioni del fratello maggiore (cfr Lc 15,25-32) e degli operai gelosi (cfr Mt 20,1-16). Anzi significa valorizzare di più le leggi e i comandamenti creati per l’uomo e non viceversa (cfr Mc 2,27)”.
E, se qualcuno fosse così duro d’orecchi o di cervice da non sentire e da non intendere, Bergoglio gli dice che:
“aldilà delle questioni dogmatiche ben definite dal Magistero della Chiesa – abbiamo visto anche che quanto sembra normale per un vescovo di un continente, può risultare strano, quasi come uno scandalo – quasi! – per il vescovo di un altro continente; ciò che viene considerato violazione di un diritto in una società, può essere precetto ovvio e intangibile in un’altra; ciò che per alcuni è libertà di coscienza, per altri può essere solo confusione. In realtà, le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale – come ho detto, le questioni dogmatiche ben definite dal Magistero della Chiesa – ogni principio generale ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato. Il Sinodo del 1985, che celebrava il 20° anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II, ha parlato dell’inculturazione come dell’«intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l’integrazione nel cristianesimo, e il radicamento del cristianesimo nelle varie culture umane». L’inculturazione non indebolisce i valori veri, ma dimostra la loro vera forza e la loro autenticità, poiché essi si adattano senza mutarsi, anzi essi trasformano pacificamente e gradualmente le varie culture”.
[...] Mi si chiede che cosa accadrà adesso. Mi pare da escludere l’eventualità che Bergoglio possa compiere un gesto o dire anche una sola parola per rimettere in onore la dottrina e la morale cattoliche. Sta facendo di tutto per distruggerle e, ora che ha quasi portato a termine il suo compito, non può certo buttare al vento tanto lavoro. Azzardo allora due ipotesi.
Ipotesi A. Dopo il Sinodo, tocca al Papa trarre le conclusioni e tradurle in insegnamenti e norme di comportamento: tanto per intenderci, dottrina e morale. A meno che Bergoglio non intenda soffocare subito con i suoi diktat le ultime timide voci di dissenso, per le conclusioni attenderà un po’. Il tempo necessario per cui il sotteso anticristico venuto in luce nei punti chiave della Relatio Finalis diventi naturalmente, o preternaturalmente, operativo senza che ci si debba esporre pubblicamente con strappi definitivi alla dottrina. Non ci vorrà molto perché ormai, nella mente di quasi tutti i cattolici di ogni ordine e grado, questo Sinodo non è considerato un’assemblea consultiva, ma legislativa: quanto è stato approvato in quell’assise, nella mente dei cattolici è di fatto già divenuto legge. Per i sovvertitori, si tratta solo di aspettare che venga applicata ovunque. Una legge non legge, una legge che instaura il caos, una legge in cui ognuno diventa norma a se stesso, perché questo è il territorio del diavolo, ma pur sempre un’indicazione che porta il sigillo, vero o presunto, dell’autorità. Fatto questo, il vescovo di Roma, che presiede nella carità le chiese sorelle, interverrà per codificare caritativamente lo stato di fatto. Senza escludere nessuno, tranne, naturalmente, “i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite”.
Ipotesi B. Non verrà tratta alcuna conclusione e non verrà data alcuna indicazione dottrinale o morale. Ormai tutto sta correndo verso il baratro a una velocità sempre più vorticosa e sarebbe un errore, per i rivoluzionari, mettervi un freno anche solo formale evocando il concetto di legge, di norma. La Chiesa gradita al Nemico è la Chiesa del caos, la Chiesa in cui l’autorità ha compiuto l’ultimo gesto di imperio dismettendo se stessa, la Chiesa in cui il padre si è suicidato davanti ai figli in un tripudio gioioso di liberazione.
In ognuna di queste ipotesi, si vede all’opera lo spirito modernista che ha fatto del Vaticano II, documenti e interpretazioni, una bomba nucleare posta nel cuore della cristianità. Ma oggi è ancora peggio perché il quadro in cui vengono letti i documenti, già tremendi per conto loro, è peggiorato di gran carriera. Non c’è neppure bisogno di forzare le interpretazioni rivoluzionarie. Come si vede, ci pensa il Papa.
ALESSANDRO GNOCCHI (riscossacristiana.it)