Francesco fustiga la curia. Ma quanta distanza tra le parole e i fatti

Un anno fa papa Francesco riunì i cardinali per due giorni e a porte chiuse, a confrontarsi sulle questioni della famiglia. E furono due giorni di fuoco.
Il prossimo mese li riunirà di nuovo, questa volta a discutere di riforma della curia, e sarà anche qui battaglia.
Perché di idee riformatrici ne sono spuntate tante e contrastanti, almeno tante quante le teste dei nove cardinali che fanno da consulto al papa, e qualcuna persino impresentabile.
Come quella di sottomettere a un costituendo dicastero della giustizia i vari istituti e gradi del sistema giudiziario vaticano, compresa la penitenzieria apostolica che giudica in foro interno. Con offesa orribile, se messa in atto, della divisione tra i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario che è vanto degli Stati moderni da Montesquieu in poi.
Infatti Francesco ha preso tempo. Ha detto che non tirerà le fila della riforma prima del 2016. E intanto procede come un generale dei gesuiti, decidendo da sé ciò che gli preme da subito, a dispetto della conclamata collegialità del suo governo.
Nel far gli auguri di Natale ai capi di curia ha sbattuto loro in faccia una diagnosi catastrofica delle loro "malattie", ne ha elencate quindici, una più abietta dell'altra. Ma se poi si vanno a guardare le poche rimozioni e promozioni che il papa ha fatto finora, c'è da restare sbalorditi.
Il più illustre dei defenestrati è il cardinale Raymond L. Burke, grande canonista, al quale anche gli avversari riconoscono competenza e dirittura morale.
Mentre il più incredibile dei promossi è monsignor Battista Ricca, richiamato a Roma anni fa dal servizio diplomatico dopo che aveva dato scandalo in tre nunziature diverse, l'ultima a Montevideo dove s'era portato il suo amante, ma poi rientrato miracolosamente in carriera come direttore delle due residenze romane di via della Scrofa e di Santa Marta e soprattutto come amico di tanti cardinali e vescovi ivi ospitati da tutto il mondo, compreso colui che oggi è papa e l'ha fatto prelato dello IOR, cioè suo uomo di fiducia nella banca vaticana.
Non ha avuto fin qui il minimo seguito il proposito che Bergoglio aveva esternato due primavere fa: di sgominare in curia quella "lobby gay" che egli vi aveva trovato viva e vegeta.

Molto più che in curia, è col sinodo dei vescovi che questo pontificato innova.
Francesco ne ha fatto una struttura quasi permanente, ridando libero corso a discussioni che i papi precedenti avevano chiuso, come quella sulla comunione ai divorziati risposati e in definitiva sull'ammissione o no delle seconde nozze.
Ne è nata una battaglia molto accesa tra opposte correnti, con soprattutto i vescovi delle "periferie", specie dell'Africa e dell'Europa dell'Est, oppositori intransigenti sia del divorzio, sia del riconoscimento delle unioni omosessuali.
Ma alla fine, dopo la sessione sinodale del prossimo ottobre, sarà il papa a decidere, da monarca assoluto, e ha tenuto a ribadirlo citando il codice di diritto canonico.
Le sue simpatie palesi sono per l'ala progressista, trainata dai cardinali tedeschi, e per la prassi tollerante delle Chiese ortodosse d'Oriente, che già benedicono le seconde nozze.

Ma Francesco si dice anche affascinato da Paolo VI e continua a portare a modello di coraggio profetico l'enciclica "Humanae vitae" con cui quel papa condannò i contraccettivi e approvò solo i metodi naturali di controllo delle nascite.
L'ha fatto un'ennesima volta a Manila pochi giorni fa, rimarcando però che Paolo VI era anche "molto misericordioso verso i casi particolari, e chiese ai confessori che fossero molto comprensivi".
Ed è così che probabilmente andrà a finire.
Francesco terrà ferma a parole la dottrina cattolica dell'indissolubilità e insieme incoraggerà vescovi e clero ad aver compassione e comprensione "pastorale", cioè pratica, per i matrimoni falliti e rifatti.
Paolo VI, che nel giorno conclusivo dell'ultimo sinodo è stato proclamato beato, si tirò addosso con la "Humanae vitae" un diluvio di critiche, da fuori e dentro la Chiesa.
Per Francesco potrebbe accadere l'opposto, col suo dare apparente soddisfazione sia agli intransigenti che ai novatori.

(SANDRO MAGISTER - chiesa.espresso.repubblica.it)