Non sicut scribae. Commento all'omelia di Santa Marta del 10 Gennaio 2016

Dal blog opportuneimportune.blogspot.it a firma Cesare Baronio. Da meditare. 
p.Elia 
 
Se non avessi ormai raggiunto una certa età, e dovessi ancora occuparmi della cura d'anime in una parrocchia, probabilmente non avrei né tempo né voglia di commentare le peregrine affermazioni che ci giungono quotidianamente da Santa Marta. Anzi, anche ora che posso dedicarmi allo studio e alla preghiera, mi riesce estremamente penoso leggere certi spropositi, soprattutto quand'essi coniugano la pervicace predicazione dell'errore con vere e proprie falsità. E' il caso del fervorino del 10 Gennaio, puntualmente recensito da Radio Vaticana.
Premetto che non conosco quale sia l'ordinamento delle letture nel rito riformato, visto che per grazia di Dio seguo solo la Liturgia cattolica, e questo da ben prima dell'Indulto di Giovanni Paolo II e del Motu Proprio di Benedetto XVI. Ho dovuto quindi chiedere ad un confratello lumi al riguardo, scoprendo che il 10 Gennaio era martedì della I settimana del Tempo Ordinario, anno dispari. L'Ordo appeso nella mia sacristia indica invece la Messa del martedì nell'Ottava dell'Epifania, con la commemorazione di San Pietro Orseolo, Confessore.
Apprendo quindi che alla Messa conciliare viene letto un passo del Vangelo di Marco (Mc 1, 21-28):
In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.
L'episodio evangelico della guarigione dell'indemoniato è riportato anche dall'Evangelista Luca (Lc 4, 31-37). Ovviamente, lungi dallo spiegare la parte saliente del brano nel quale gli stessi demoni riconoscono in Cristo il Sanctus Dei, il Messia, Bergoglio non ha perso l'occasione per lanciare le sue invettive contro gli scribi e i farisei, sempre con il suo modo allusivo. E per proporre un'esegesi che definire discutibile è dir poco, focalizzando la sua attenzione sul versetto 22.

Interpretazione cattolica

Erat enim docens eos
sicut potestatem habens,
et non sicut scribae eorum, et pharisaei.
(Mt 7, 28)

Erat enim docens eos, quasi potestatem habens,
et non sicut scribae.
(Mc 1, 22)

Prima di analizzare il contenuto dell'omelia, vediamo qual è l'interpretazione cattolica di questo passo evangelico.
San Matteo e San Marco utilizzano quasi le stesse parole: Egli insegnava loro come chi ha la potestà, e non come fanno gli scribi. Gli scribi insegnavano ed argomentavano richiamandosi sistematicamente all'auctoritas della Legge e dei Profeti, mentre il Salvatore poteva completare, chiarire e addirittura modificare la Legge, essendone l'Autore. E' stato detto... ma io vi dico (Mt 5, 21-47). Da un lato abbiamo quindi gli scribi ed i farisei, con il loro insegnamento basato sulle Scritture; dall'altro Nostro Signore, che mostra la propria autorità divina insegnando senza bisogno di citare nessuna fonte. Gli scribi erano scandalizzati dalle parole di Cristo, che dimostravano la Sua divinità: essi erano accecati dall'orgoglio e dall'invidia, ostinati nel non voler credere. Mentre il popolo e la gente semplice erano conquistati da lui.

Scrive San Giovanni Crisostomo:
Ciò che più li colpiva era il fatto che in ciò che diceva non si appoggiava all'autorità di nessuno, come le parole di Mosè e dei Profeti, ma si mostrava sempre come chi ha autorità; infatti citando la Legge diceva sempre: «Ma io vi dico».
Poiché infatti insegnava come chi ha l'autorità, affinché questo modo di insegnare non sembrasse un'ostentazione, fa la stessa cosa con le opere, come chi ha il potere di guarire.
San Gerolamo:
Poiché come Dio e Signore dello stesso Mosè, secondo la libertà della sua volontà, faceva delle aggiunte alla legge o predicava al popolo mutandole, come abbiamo letto sopra: «Fu detto agli antichi, ma io vi dico». Gli scribi invece insegnavano soltanto quelle cose che risultano scritte in Mosè e nei Profeti.
Sant'Ilario:
Dalla potenza delle parole misuravano l'effetto del potere.
Da queste brevi citazioni dei Santi Padri, prese dalla Catena Aurea, risulta evidente che l'autorità e l'autorevolezza del Signore erano mostrate anche nel modo di parlare, e confermate dai miracoli. Anche in questo caso, dopo essersi presentato come Maestro e Signore nell'insegnare, si mostra come Dio nel cacciare il demone dal posseduto. E lo stesso demone lo riconosce come Dio.

L'esegesi bergogliana

Il primo sproposito che possiamo riscontrare nell'omelia è questo:
Gesù serviva la gente, spiegava le cose perché la gente capisse bene: era al servizio della gente. Aveva un atteggiamento di servitore, e questo dava autorità.
Ciò è falso: Nostro Signore non si è mai comportato da servitore. Egli era rispettato da tutti perché aveva un comportamento che incuteva rispetto e venerazione; chi si rivolgeva a Lui, Lo chiamava Maestro, ed il Suo stesso vestito era quello dei dignitari. Nel Vangelo la donna che soffre di perdite di sangue Gli tocca la frangia dell'abito - tetigit fimbriam vestimenti ejus (Mt 9, 20) - e sappiamo che la veste con le frange era distintiva delle persone costituite in autorità. Anche la tunica inconsutile (Gv 19, 23) era un capo d'abbigliamento molto elegante, tanto che i soldati ai piedi della Croce decidono di giocarsela a sorte, per non rovinarla.
Quando il Signore ha lavato i piedi ai Discepoli, l'ha fatto per dare loro l'esempio, non perché si comportasse abitualmente da servitore. Al contrario: quando la peccatrice si inginocchia ai Suoi piedi e li unge con il prezioso balsamo - segno di rispetto riservato ai sovrani - Egli le lascia compiere questo gesto, aggiungendo: Bonum opus operata est in Me: semper enim pauperes habetis vobiscum: et cum volueritis, potestis illis benefacere: me autem non semper habetis (Mc 14, 6-7).
Santa Teresa d'Avila (Vita, 37, 5) così si rivolge al Signore:
Per conoscere che Tu solo fra tutti meriti il nome di Sovrano basta contemplarti, perché in Te rifulge una tale maestà, che per farti vedere Re non hai bisogno di corteggio e di scorta.
Ora è evidente che l'autorità di Nostro Signore, che emana dalla Sua divina Regalità, ripugna al concetto modernista, negatore della Maestà di Cristo e dei Suoi sovrani diritti sui singoli, sulle società, sulle nazioni. Ed è proprio per il rifiuto di Cristo Re che la chiesa conciliare non riesce a comprendere il gesto di infinita misericordia con cui il Figlio di Dio ha voluto incarnarsi in una creatura, senza rinunciare per questo alla propria divinità. L'umiltà di Cristo non è verso coloro che Egli ha riscattato, ma verso il Padre, al Quale l'uomo doveva una riparazione infinita che solo l'Uomo-Dio avrebbe potuto portare a compimento con un sacrificio dal valore altrettanto infinito.

Prosegue Bergoglio:
Invece, questi dottori della legge che la gente … sì, ascoltava, rispettava ma non sentiva che avessero autorità su di loro, questi avevano una psicologia di principi: Noi siamo i maestri, i principi, e noi insegniamo a voi. Non servizio: noi comandiamo, voi obbedite.
Che i sacerdoti e gli scribi della Sinagoga fossero ormai indegni del ministero che il Signore aveva istituito per l'Antica Legge, è cosa evidente. Essi non insegnavano più la dottrina messianica, trascuravano i propri compiti e si consideravano i detentori di una scienza per pochi eletti, al punto che lo stesso Erode, quando i Magi si rivolgono a lui per chiedergli dove fosse nato il Re dei Giudei (Mt 2, 3-8), deve consultare i principi dei sacerdoti, perché ormai le profezie sul Messia venturo erano sconosciute ai più. 

Errori sulla potestà e l'autorità di Cristo
Afferma Bergoglio:
Gesù mai si è fatto passare come un principe: sempre era il servitore di tutti e questo è quello che gli dava autorità.
Che Nostro Signore servisse la gente è quanto di più irriverente si possa sentire sulla bocca del Vicario di Cristo. Ed è assolutamente falso, come è falso che egli non si sia mai presentato come un principe. Si pensi al Rex sum ego (Gv 18, 37) che il Salvatore ha proclamato chiaramente dinanzi a Pilato. Inoltre il Signore, in quanto discendente della tribù di Davide, era di stirpe regale. E ancora, la sua sovranità Gli spetta sia in quanto Dio, sia perché col sacrificio della Croce egli ha acquisito un diritto sovrano sull'umanità ch'Egli ha redento. Ce lo conferma il Dottore Angelico (Lect. VI in cap. XVIII S.cti Joannis, t. XIV, fol. 99, col. 2): Hic Dominus manifestat veritatem de regno suo. [...] Primo se esse confitetur Regem. Lo insegna il Pontefice Pio XI nell'immortale Enciclica Quas Primas:
Tutti debbono riconoscere che è necessario rivendicare a Cristo Uomo nel vero senso della parola il nome e i poteri di Re; infatti soltanto in quanto è Uomo si può dire che abbia ricevuto dal Padre la potestà, l'onore e il regno, perché come Verbo di Dio, essendo della stessa sostanza del Padre, non può non avere in comune con il Padre ciò che è proprio della divinità, e per conseguenza Egli su tutte le cose create ha il sommo e assolutissimo impero. [...] E non leggiamo infatti spesso nelle Sacre Scritture che Cristo è Re? Egli invero è chiamato il Principe che deve sorgere da Giacobbe, e che dal Padre è costituito Re sopra il Monte santo di Sion, che riceverà le genti in eredità e avrà in possesso i confini della terra.
L'idea che l'autorità e l'autorevolezza di Nostro Signore provengano dal fatto ch'Egli fosse servitore di tutti è non solo falsa, ma anche eretica, perché il titolo regale di Cristo non trae origine - a differenza delle forme di governo moderne - dal popolo, né tantomeno da una inferiorità gerarchica rispetto ai sudditi. L'umiltà del Salvatore è un esempio da imitare, ma essa non è la conseguenza di una Sua presunta condizione servile. Infatti, se egli ha voluto assumere la condizione di servo - semetipsum exinanivit formam servi accipiens (Fil 2, 7) - l'ha fatto con l'Incarnazione e la Passione, per riscattare con il proprio Sacrificio l'umanità corrotta dal peccato. Quindi la forma servi indica la natura umana, non certo la condizione di inferiorità del servo.

Il vero bersaglio delle invettive bergogliane

Il predicatore di Santa Marta prosegue:
Gesù non aveva allergia alla gente: toccare i lebbrosi, i malati, non gli faceva ribrezzo. [...] Gesù era vicinissimo alla gente, e questo dava autorità. Quelli staccati, questi dottori, avevano una psicologia clericalistica: insegnavano con un’autorità clericalistica, cioè il clericalismo.
Non ci vuole un acume particolare per comprendere che Bergoglio non intende criticare i sommi sacerdoti dell'epoca di Nostro Signore, ma i presunti farisei della Chiesa Cattolica, i suoi nemici giurati, siano essi semplici chierici in talare o porporati. La sua insofferenza per il decoro ecclesiastico - gli esorcisti potrebbero confermare che ricorda le reazioni degli energumeni dinanzi all'abito del sacerdote ed alle cose sacre in genere - ha qualcosa di patologico.
Non avendo competenze psichiatriche, mi è difficile formulare compiutamente un'analisi dei sintomi rivelatori di quest'odio implacabile di Bergoglio contro i sacerdoti. Ma non credo di esser lontano dalla realtà rilevando questa fissazione monomaniacale, che lo porta a scagliarsi con termini violenti ed irriguardosi verso quanti sono insigniti dell'Ordine Sacro, ed in particolare quelli che con il proprio abito, con il comportamento e con l'esempio cercano di conformarsi all'ideale sacerdotale: in una parola, i tradizionalisti.
Eppure, non una parola è stata spesa per i sacerdoti indegni, per quanti danno scandalo, per i teologi eretici: al contrario, egli ne vanta una larga accolita proprio intorno a sé, dal discusso mons. Ricca al pastore protestante Figueroa messo a capo dell'edizione argentina dell'Osservatore Romano, dal card. Kasper a mons. Galantino, dal Card. Parolin alla teologhessa che sul quotidiano della Santa Sede ha pubblicamente offeso Nostra Signora proprio alcuni giorni or sono. Quando si dice similis cum similibus...
Ma torniamo alle parole del predicatore di Santa Marta. Sono rivelatori certi salti logici, che lasciano supporre un passaggio mentale sottinteso. Dopo aver infatti accennato ai dottori della legge, ecco l'elogio di Montini:
A me piace tanto quando leggo la vicinanza alla gente che aveva il Beato Paolo VI; nel numero 48 della Evangelii Nuntiandi si vede il cuore del pastore vicino: è lì l’autorità di quel Papa, la vicinanza.
Il passaggio sottinteso è evidente: egli menziona i farisei, quindi pensa ai Papi ed ai Prelati preconciliari, e poi parla di Paolo VI. I farisei cui Bergoglio allude sono i Pontefici alla Pio XII in manto e tiara, assisi sulla sedia gestatoria; i Principi della Chiesa in cappamagna, come i Cardinali Schuster e Ottaviani; i teologi come mons. Piolanti o mons. Spadafora. Insomma, i veri cattolici. Ecco quindi, quale opposto esempio di quegli esponenti del clericalismo, nientemeno che Montini, cui va ascritta la demolizione del Papato, l'abolizione della Corte Papale, la deposizione della tiara, la promulgazione della nuova Messa, gli abbracci ecumenici.
E se andiamo a vedere cosa c'è scritto al n. 48 dell'Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi, si trova conferma della chiave di lettura che Bergoglio adotta. Quel paragrafo citato parla della pietà popolare: c'è da chiedersi cos'abbia a che fare la pietà popolare con l'omelia e con il clericalismo. Questo riferimento oscuro suona quasi come un messaggio in codice, come un'allusione per alcuni iniziati. Anche perché non pare che Bergoglio abbia mai dato prova di indulgere a quelle pratiche di pietà popolare che la Chiesa cattolica ha sempre favorito e che viceversa il Concilio ha fatto di tutto per far scomparire.


Il capovolgimento
Dopo il devoto omaggio a Paolo VI, ecco un altro sproposito:
Primo, servitore, di servizio, di umiltà: il capo è quello che serve, capovolge tutto, come un iceberg. Dell’iceberg si vede il vertice; invece Gesù capovolge e il popolo è su e Lui che comanda è sotto e da sotto comanda. Secondo, vicinanza.
Lasciamo da parte lo stentato eloquio bergogliano, che fa parte integrante del personaggio: occorre rassegnarsi non solo alla propalazione dell'errore e dell'ignoranza, ma anche al massacro della lingua italiana e al disprezzo della sintassi.
Qui però c'è un vero e proprio sovvertimento dell'ordine naturale e soprannaturale: la Chiesa è istituzione divina, con una struttura monarchica voluta da Cristo. Affermare che chi comanda è sotto suona quantomeno temerario, oltre che falso: in un corpo il capo è in alto, e se così non fosse si avrebbe un'inversione innaturale, che contrasta con la gerarchia che il Creatore ha disposto nella cosa pubblica e che il Salvatore ha confermato nella Chiesa. Un'inversione che ricorda piuttosto i principi rivoluzionari e massonici, e che non ha nulla di cattolico. Non dimentichiamo che Papini, nella Storia di Cristo, intitolò un capitolo Il Capovolgitore, dichiarando Gesù il rovesciatore radicale dell'ordine.
Nelle parole di Bergoglio, quello che sembra un mezzo è in realtà il fine. Col pretesto di abbassare il linguaggio teologico alla comprensione dei semplici, di blandire gli eretici e gl'idolatri, e di compiacere i negatori di Dio, egli fa di Cristo una sorta di leader rivoluzionario, un Che Guevara ante litteram, l'idolo della Teologia della Liberazione a lui tanto cara. Non più il Signore dei signori, il Re dei re, il Figlio di Dio, il Verbo del Padre, ma un capopopolo: che è poi quello cui ambivano i sommi sacerdoti che misero in croce il Salvatore perché si era proclamato Messia. Non scrivere Re dei Giudei (Gv 19, 21).
A ben vedere, anche tutti gli atteggiamenti ossessivo-compulsivi con cui ci viene presentato il Papato in vesti, comportamenti e detti tutt'altro che ieratici non mira principalmente a fare del Romano Pontefice un quivis de populo - uno di noi, come piace alla vulgata contemporanea - quanto a cancellarne l'immagine di Nostro Signore, Capo della Chiesa, assiso in trono e rivestito delle insegne regali e divine.
Prosegue Bergoglio:
Invece, questa gente non era coerente e la loro personalità era divisa al punto che Gesù consiglia ai suoi discepoli: Ma, fate quello che vi dicono, ma non quello che fanno: dicevano una cosa e ne facevano un’altra. Incoerenza. Erano incoerenti. E l’aggettivo che tante volte Gesù dice loro è ipocrita. E si capisce che uno che si sente principe, che ha un atteggiamento clericalistico, che è un ipocrita, non ha autorità! Dirà le verità, ma senza autorità. Invece Gesù, che è umile, che è al servizio, che è vicino, che non disprezza la gente e che è coerente, ha autorità. E questa è l’autorità che sente il popolo di Dio.
Conclusione

Accade che anche gli empi, e addirittura i demoni, affermino qualche verità. Così Caifa, allorché disse che occorreva che un solo uomo morisse per il popolo (Gv 11, 45-46). Così il demone scacciato dal corpo dell'indemoniato nella sinagoga di Cafarnao, quando confessò che Cristo era il Santo di Dio.
E qui Bergoglio, senza rendersene conto, traccia un fedele ritratto di se stesso e del clero progressista: ipocrita, incoerente, che disprezza la gente, senza autorità. Affetto da un clericalismo che mai nella Chiesa si è visto prima di questo Pontificato, da un'autoritarismo che farebbe impallidire Bonifazio VIII. Noi siamo i maestri, i principi, e noi insegniamo a voi. Non servizio: noi comandiamo, voi obbedite. Proprio così: Noi cambiamo la dottrina e la morale, distruggiamo la liturgia, profaniamo i Sacramenti, celebriamo Lutero, disprezziamo la Vergine, e voi dovete star zitti. Noi comandiamo, voi obbedite.
Ma se il Signore poteva dire dei farisei Fate quello che dicono ma non quello che fanno, oggi siamo giunti al punto che non solo non dobbiamo fare ciò che essi fanno, ma nemmeno quello che dicono.
Viceversa, fino al Concilio, abbiamo avuto l'onore e la grazia di avere dei Papi che senza bisogno di abbassare la dignità del Papato erano veramente umili, non disprezzavano la gente, erano coerenti, avevano autorità. Fino alla deposizione della tiara da parte di Paolo VI, il Pontefice era Servus servorum Dei perché parlava come Vicario di Cristo: per questo egli usava il plurale humilitatis, significando che le sue parole erano quelle del Supremo Pastore. Chi ascolta voi, ascolta me (Lc 10, 16). E questa è l’autorità che sente il popolo di Dio.