Mentre i politici basano il loro successo sugli annunci – mai mantenuti - di riduzione delle tasse, Papa Bergoglio ha puntato tutta la sua popolarità sulla «riduzione dei peccati”. Riduzione che dovrebbe articolarsi nella depenalizzazione di una serie di «peccati pubblici» (che potrebbero vedersi ammessi alla comunione), oltre che nella nuova ottica della «misericordia», che - come faceva notare Mons. Fellay - si traduce in un semplice sguardo di comprensione sul peccato che non prevede più la conversione. Non riteniamo di prolungarci su questo argomento, ma fa pensare l’idea che, come per la riduzione delle tasse, la riduzione dei peccati non diventerà necessariamente una realtà.
Del resto allo stato attuale del dibattito, il bollino del Sinodo è perfino superfluo, perché il messaggio è già passato ampiamente. In primis perché, secondo la migliore teologia modernista, l’autorità non ha che da sancire un progresso dogmatico/morale avvenuto già da decenni nella coscienza del popolo di Dio (il quale, ci dimostra l’Irlanda, è già ben oltre il tema del Sinodo); in secundis perché nei fatti la comunione ai divorziati conviventi è prassi abituale nelle parrocchie di mezzo mondo, con il più o meno tacito consenso dei Vescovi stessi, o su iniziativa dei preti; in tertiis, perché ormai la Chiesa, come dice l’intenzione di preghiera della CEI per il mese di giugno, non deve fossilizzarsi su qualche principio morale e dottrinale ma andare al cuore del messaggio evangelico (che secondo la migliore tradizione hippy sembra riassumersi nel credere e fare ciò che si vuole: può sembrare una battuta, ma i discorsi di Papa Francesco e del clero spesso non vanno oltre questo livello, unico ritenuto comprensibile al tanto decantato uomo di oggi).
Su questa scia di pensiero si colloca la scandalosa attribuzione di credibilità di cui è stata titolare Emma Bonino, invitata personalmente dal Pontefice all’incontro sulla «pace» dell’11 maggio con i bambini, nell’aula Nervi. Danilo Quinto ha scritto giustamente pagine indignate contro questo invito, cui volentieri rimandiamo il lettore, ricordando anche il nostro ultimo articolo sul modo in cui Francesco continui ad incoraggiare i peccatori impenitenti e a schiacciare i buoni in ciò che fanno di buono. Tuttavia di questo incontro andrebbero sottolineati proprio i propositi tenuti dal Papa.
Egli ha dapprima risposto in modo informale alle domande dei bambini sulla pace, e poi tenuto un breve discorso. La prima parte, quella delle risposte, è a dir poco sbalorditiva. Non vi è alcun accenno a Gesù Cristo, e vi è un seguito di luoghi comuni sulla «pace». Dio compare brevemente (oltre che per ricordare che «perdona tutto») in risposta alla domanda di un bambino sul ruolo della religione nell’«aiutarci a vivere»: il Papa ha subito affermato che quello che ci aiuta è quanto tutte le religioni (secondo lui) hanno in comune, cioè il comandamento di amare il prossimo.
Del resto allo stato attuale del dibattito, il bollino del Sinodo è perfino superfluo, perché il messaggio è già passato ampiamente. In primis perché, secondo la migliore teologia modernista, l’autorità non ha che da sancire un progresso dogmatico/morale avvenuto già da decenni nella coscienza del popolo di Dio (il quale, ci dimostra l’Irlanda, è già ben oltre il tema del Sinodo); in secundis perché nei fatti la comunione ai divorziati conviventi è prassi abituale nelle parrocchie di mezzo mondo, con il più o meno tacito consenso dei Vescovi stessi, o su iniziativa dei preti; in tertiis, perché ormai la Chiesa, come dice l’intenzione di preghiera della CEI per il mese di giugno, non deve fossilizzarsi su qualche principio morale e dottrinale ma andare al cuore del messaggio evangelico (che secondo la migliore tradizione hippy sembra riassumersi nel credere e fare ciò che si vuole: può sembrare una battuta, ma i discorsi di Papa Francesco e del clero spesso non vanno oltre questo livello, unico ritenuto comprensibile al tanto decantato uomo di oggi).
Su questa scia di pensiero si colloca la scandalosa attribuzione di credibilità di cui è stata titolare Emma Bonino, invitata personalmente dal Pontefice all’incontro sulla «pace» dell’11 maggio con i bambini, nell’aula Nervi. Danilo Quinto ha scritto giustamente pagine indignate contro questo invito, cui volentieri rimandiamo il lettore, ricordando anche il nostro ultimo articolo sul modo in cui Francesco continui ad incoraggiare i peccatori impenitenti e a schiacciare i buoni in ciò che fanno di buono. Tuttavia di questo incontro andrebbero sottolineati proprio i propositi tenuti dal Papa.
Egli ha dapprima risposto in modo informale alle domande dei bambini sulla pace, e poi tenuto un breve discorso. La prima parte, quella delle risposte, è a dir poco sbalorditiva. Non vi è alcun accenno a Gesù Cristo, e vi è un seguito di luoghi comuni sulla «pace». Dio compare brevemente (oltre che per ricordare che «perdona tutto») in risposta alla domanda di un bambino sul ruolo della religione nell’«aiutarci a vivere»: il Papa ha subito affermato che quello che ci aiuta è quanto tutte le religioni (secondo lui) hanno in comune, cioè il comandamento di amare il prossimo.
A parte il fatto che non consta che tale comandamento sia comune a tutte le religioni, il comandamento di Gesù Cristo è di amarci come lui ci ha amato, in modo soprannaturale, quindi unico. Rimane incredibile che al «Papa della misericordia» sfugga quello che è il messaggio centrale della religione rivelata. Nelle altre risposte il Papa fa ripetere ai bambini che «dove non c’è giustizia, non c’è la pace»: frase di per sé vera, ma la giustizia che il Papa presenta è senza relazione verso l’alto, verso Dio, ed è costruzione umana che deve portare a una totale «uguaglianza» nel diritto comune ad «essere felici».
Alla domanda sul perché della sofferenza dei bambini, il Papa afferma, citando Dostoevskij, di non avere risposte: probabilmente la Croce del Cristo non gli ha insegnato niente sulla sofferenza dell’innocente. Solo nel breve discorso scritto seguente, dopo aver insistito sul fatto che la pace è frutto dell’opera umana, senza frontiere di religioni o culture, accenna in conclusione al fatto che questa può essere chiesta a Dio nella preghiera e menziona inopinatamente il Nome di Gesù Cristo, morto e risorto per abbattere il muro di odio tra gli uomini e darci così la pace. Che l’ordine umano si debba costruire innanzitutto ristabilendo l’ordine perduto con Dio, anche a livello sociale, è argomento tabù. Il discorso è sostanzialmente orizzontale e la religione (pardon, le religioni) appare come un puro servizio civile. Addirittura la scuola appare come luogo educativo per eccellenza e garanzia di pace, senza alcun riferimento a quel luogo di propaganda infernale che è la scuola statale attuale.
Discorsi eiusdem farinae sono stati tenuti dal Pontefice durante il viaggio a Sarajevo, con sperticati e triti elogi della multireligiosità, che non vale più nemmeno la pena di riportare. Con poca fantasia, ognuno di noi li può ricomporre a piacere e scoprire di aver indovinato i termini precisi. Il tutto impugnando la ferula di Paolo VI rattoppata con il nastro adesivo. A un certo punto viene anche da ridere davanti a tanto pezzentismo ingenuo, non fosse che c’è ancora chi ha il coraggio di estasiarsi davanti a tanta insipienza.
Se la pace consiste nel riconoscere a ciascuno uguaglianza di diritti, come dice testualmente Francesco nel discorso succitato, si capirà che l’Irlanda cosiddetta cattolica abbia votato massicciamente a favore del «matrimonio» omosessuale. Non è forse questa l’ultima irrinunciabile frontiera dei diritti civili uguali per tutti? Si capisce alla fine anche il silenzio tombale del Vaticano sulla questione, per non parlare dell’atteggiamento rinunciatario dei Vescovi irlandesi, che non solo non hanno più alcuna credibilità, ma nemmeno hanno le convinzioni necessarie ad opporsi.
Solo post eventum il Segretario di Stato Parolin ha definito il referendum «sconfitta per l’umanità», per attirarsi però le dure critiche del Vescovo emerito di Killaloe, Mons. Willie Walsh (sicuramente uno dei responsabili della formazione di questa generazione di cattolici irlandesi): «Non accetto che il voto sia definito una sconfitta per l’umanità. Sono a disagio davanti a questa dichiarazione. Ci sono stati tanti disastri in giro per il mondo, ma di certo non posso sostenere con convinzione che il referendum sia uno di questi. Non posso accettare l’idea che oltre un milione di persone che si sono recate alle urne fossero traviate nel loro giudizio». Ad ogni modo, ha detto il presule, «dubito seriamente» che le affermazioni espresse da Parolin «siano condivise dal Papa». Si tratta di frasi, ha aggiunto mons. Walsh, «inappropriate, che non penso rappresentino il pensiero di Francesco, nonostante provengano da una delle personalità più rilevanti della Chiesa». Il vescovo ha sottolineato che «difficilmente si potrebbe dare un’occhiata alle celebrazioni (per gli esiti del referendum n.d.r.) e dire che non è cresciuta la felicità della gente nel paese».
DON MAURO TRANQUILLO (sanpiox.it)